[Fincantieri Castellammare di Stabia]
OSARE
LOTTARE – OSARE VINCERE
DICIAMO
NO AL REFERENDUM!
LOTTIAMO
PER LA DIFESA DEL CANTIERE
Il seguente volantino sarà distrubuito il giorno stesso del referendum Lunedi 11 Febbraio dinanzi al cantiere Fincantieri di Castellammare di Stabia.
Il Partito Comunista dei Lavoratori invita tutte le realtà politiche, sindacali e di movimento della sinistra di classe a mobilitarsi per il respingimento del suddetto accordo!
L’accordo firmato il 1
Febbraio da azienda e sindacati è un vero e proprio ricatto che peggiora le
condizioni di migliaia di lavoratori Fincantieri. La minaccia della dirigenza,
in perfetta continuità con lo stile di Marchionne, mette i lavoratori stabiesi dinanzi ad una
scelta ricattatoria: o si prende la nave canadese con tutto il
ridimensionamento della struttura e del numero di lavoratori impiegati, oppure
si va tutti a casa.
Se passasse il SI, la
linea aziendale continuerebbe nella sua politica di razionalizzazione degli impianti, espulsione
delle maestranze e futura chiusura (si veda l’esempio dello stabilimento Fiat
di Pomigliano). La stessa giustificazione della crisi del mercato permette ai nuovi
proprietari della “Cassa depositi e prestiti” da un lato tutelare i loro
profitti, sempre in attivo, dall’altro scaricare i costi sempre sulle spalle
della classe operaia.
Per questo motivo
bisogna respingere questo accordo! Bisogna far valere non l’unità delle
burocrazie sindacali ma l’unità e la tutela di tutti i lavoratori Fincantieri
ed Indotto; bisogna porre al centro della trattativa la necessità di ripartire
il lavoro esistente fra TUTTI i lavoratori a parità di orario e di salario.
Bisogna finire di delegare le decisioni ad RSU che vi hanno illuso ed ingannato;
bisogna riaprire una stagione di lotte che porti il raggiungimento di questi
minimi obbiettivi attraverso qualunque mezzo: a partire dagli scioperi alle
occupazioni. Per tutte queste ragioni il Partito Comunista dei Lavoratori
invita a dire NO al referendum!
Accordo Fincantieri Castellammare:
Una commessa vale la perdita
di lavoro, diritti e dignità.
L’accordo siglato lo scorso 1°
Febbraio dalle parti sindacali e dalla direzione Fincantieri è semplicemente
definibile come un accordo capestro.
Sulla carta azienda e sindacati
ottengono la commessa di una nuova nave fluviale, da parte dell’armatore
canadese Societè des traversiers du Quebec, che
porterà nelle casse della Cassa dei depositi e presiti (attuale proprietario di
Fincantieri) circa 148 milioni di euro, mentre ai lavoratori dello stabilimento
stabiese porterà: riduzione del totale impiegato, circa 400 lavoratori su un
totale di 609, flessibilità contrattuali e prepensionamenti al 75% della
retribuzione. Inoltre la consegna di questo traghetto di piccole dimensioni è
prevista per la fine del 2014 in Canada, quindi teoricamente un solo anno di
produttività.
Una
premessa. Negli ultimi decenni la classe operaia ha perso una grande eredità di diritti e di
conquiste strappate a suon di lotte. L’avvento della crisi ha amplificato gli
attacchi provenienti dagli ambienti del gran capitale, capitanati da
Marchionne. Questi ultimi sono stati capaci non solo di riprendersi tutte
quelle concessioni grazie allo smantellamento dei contratti collettivi sotto i governi
amici “Berlusconi-Prodi-Monti”, comprese le burocrazie sindacali
“CGIL-CISL-UIL”, ma sono oggi desiderosi di ottenere una nuova stagione di
tagli e sacrifici ai danni dei lavoratori al fine di mettere in salvo i loro profitti
e le loro rendite.
In
Fincantieri il discorso degli attacchi padronali è stato in questi decenni in perfetta continuità
con il quadro nazionale. La giustificazione della crisi del settore della
cantieristica ha permesso all’azienda, con la complicità dei sindacati
confederali, di razionalizzare la produzione di alcuni cantieri, espellere dal
ciclo produttivo gran parte delle maestranze in eccedenza ed infine contare
sempre più su un esercito industriale di riserva rappresentato dalle ditte
dell’indotto, quest’ultime aventi lavoratori specializzati ma purtroppo sottopagati,
sfruttati, la maggior parte non sindacalizzata e privati di ogni elementare.diritto.
Da
anni il massiccio uso della cassa integrazione ha fruttato all’azienda un
relativo periodo di calmieramento del conflitto interno, garantendole 1) la
possibilità di ampliare i propri orizzonti in settori strategici come l’off-shore, attraverso
l’acquisto di una concorrente Stx di pari livello, e 2) la possibilità di orchestrare
il passaggio di proprietà, pianificato dal governo Monti, sotto le insegne
della Cassa dei depositi e prestiti finalizzato alla vendita, confermata dal
presidente della Cdp Bassanini, di Fincantieri a capitali privati.
Le
parole ricorrenti come: “concorrenza”, “razionalizzazione”, “massima flessibilità”
sono d’altronde l’humus di questo accordo. Parole che dovrebbero far
rabbrividire una classe operaia che nella zona stabiese vive situazioni di
estrema precarietà e drammi sociali.
Dall’accordo
si legge: “In presenza di tale
situazione, il sito di Castellammare, nonostante gli sforzi profusi
dall’Azienda nel tentativo di difenderne il posizionamento competitivo, ha
dovuto registrare difficoltà via via crescenti che hanno comportato
l’acquisizione di un carico di lavoro insufficiente per la piena saturazione
delle risorse” e già da qui si potrebbe
iniziare ad intuire qualcosa riguardo il
futuro; continuando il testo recita: “nell’ambito
dell’accordo 21.12.2011 ha poi, attraverso un’ampia revisione organizzativa,
inteso salvaguardare tutti i siti e minimizzare l’impatto occupazionale,
attraverso anche il ridisegno dell’articolazione produttiva e la
razionalizzazione\ efficientamento dell’intero sistema aziendale.”. Insomma,
spiegandolo ai non specialisti: 1) la cosiddetta “salvaguardia” ha significato l’aumento
esponenziale dello strumento della cassa integrazione, che come tutti sanno
sono mensilità previdenziali che alla fine verranno meno ai lavoratori
Fincantieri ; 2) la “razionalizzazione\ridimensionamento” degli impianti, allo
scopo di rendere gli standard degli impianti di produzione efficienti, ai
portafogli ed ai profitti dei padroni, si esige l’espulsione di circa il 40%
dei lavoratori impiegati, un numero che varia dalle sicure 270 lavoratori,
volgarmente definiti “eccedenze” (ma che a detta dei sindacati potranno
scendere a 230) su un totale di 609. A tutta questa solfa filo aziendale, beatificata
da alcuni sindacati firmatari come Fim-Cisl, Uilm e Ugl, si aggiunge la questione dalla
“competitività” nei confronti dei
giganti asiatici come Hyundai, Samsung e Stx che contano nei loro cantieri
cinesi una manodopera super sfruttata e dai costi salariali veramente irrisori;
pertanto la soluzione della crisi per la dirigenza non può andare ad impattare i ricavi e gli utili
di Fincantieri che da anni produce sulle spalle di migliaia di lavoratori (ultimo
bilancio 2011 approvato ricavi: 2,4 miliardi di euro, utile di gestione: 227
milioni di euro) , ma anzi deve essere scaricata su quest’ultimi che ad oggi pagano
il prezzo più alto sotto forma di perdita di diritti (cit.”massima flessibilità
dell’organizzazione del lavoro”) ed incremento della cassa integrazione . C’è
da credere che un domani non molto lontano i lavoratori sconteranno tutto
attraverso i licenziamenti e la chiusura del sito, non reputato strategico nei
piani futuri di Fincantieri.