Bilancio Fincantieri: ingenti
guadagni per i padroni, più sacrifici per i lavoratori!
La dirigenza Fincantieri, riunitasi
ieri per varare il bilancio operativo del 2012, ha annunciato ricavi per 2,38
miliardi di euro, un margine operativo lordo (Ebitda) di 137 milioni ed infine utili
per 15 milioni (9 nel 2011). Le
dichiarazioni dell’amministratore delegato Bono sono alquanto eloquenti
nel ringraziare pubblicamente tutte le forze sindacali (compresa la Fiom) che,
in questi anni, hanno permesso all’azienda di aumentare il margine dei profitti
e di avanzare duri attacchi nei
confronti dei lavoratori Fincantieri ed Indotto. («Questi risultati, insieme al
piano di riorganizzazione condiviso con i sindacati, ci fanno guardare con più
ottimismo al futuro»[1]).
Questi dati confermano, che la dirigenza sta scaricando i costi della crisi di
sovrapproduzione nel settore della cantieristica sulle spalle di migliaia di
lavoratori che pagano attraverso perdita di diritti, salari, aumento della cassa
integrazione, ristrutturazioni\ridimensionamenti degli impianti che comportano una notevole diminuzione del numero totale delle maestranze; tutto al fine di salvaguardare queste grandi rendite.
Di fatto questi sacrifici valgono soltanto per la classe operaia, non per i padroni, che non solo pubblicamente festeggiano per i loro margini di profitto
in un’azienda monopolistica come Fincantieri, ma annunciano una nuova stagione
di ricatti appena apertasi con l’accordo firmato per il cantiere di Castellammare[2],
e che si estenderà anche agli altri cantieri (si veda il caso Sestri).
Dinanzi a questo scenario, come Partito
Comunista dei Lavoratori denunciamo lo scandalo di queste ingenti cifre che
ingrassano sempre più i portafogli dei ricchi borghesi, condanniamo le
responsabilità oggettive delle burocrazie sindacali Cisl,Uil, Ugl e Fiom contro
il mondo operaio e proponiamo ai lavoratori:
1)La “scala mobile dell’orario di lavoro” contro la disoccupazione (suddivisione
tra tutti/e i/le lavoratori/trici potenziali, attualmente occupati/e o
disoccupati/e, del lavoro disponibile a parità di salario);
2)Un recupero su
salari e pensioni attraverso l’aumento uguale per tutti i lavoratori e le
lavoratrici di almeno 300 euro netti mensili;
3)Un salario minimo
intercategoriale di almeno 1500 euro, totalmente detassati;
4)L’esproprio senza
alcun indennizzo per i padroni delle aziende che licenziano, inquinano o
sfruttano lavoro nero e la loro nazionalizzazione sotto il controllo dei
lavoratori.
5)La formazione di un grande fronte unico di lotta fra tutte le vertenze in
crisi (Fiat, Alcoa, Ilva, Ikea, ecc.) che porti alla costruzione di una grande mobilitazione che sappia
dire basta a tutte queste misure di tagli e sacrifici. Solo scioperi, assemblee
partecipative ed occupazioni possono marcare una linea di difesa contro l’offensiva
padronale. Solo la lotta dura paga!
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