La bancarotta capitalista scuote l'America latina: per un'alternativa operaia e socialista
Per la fusione della sinistra rivoluzionaria con il movimento operaio.
Manifesto programmatico votato alla riunione di San Pablo, convocata dal Partido Obrero, come parte della campagna internazionale votata dal Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale(CRQI), il 14 e 15 settembre 2012, con la presenza di delegazioni del Partido Obrero (Argentina); Partido de los Trabajadores (Uruguay); Tribuna Classista (Brasile); personalità e militanti del Brasile, Paraguay e Cile.
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Le crisi politico-economiche e le convulsioni sociali che attraversano lo scenario mondiale sono le manifestazioni inequivocabili di una bancarotta del sistema sociale capitalista. Passati due decenni dal crollo dell’Unione Sovietica, dalla restaurazione capitalista e dalla intensa integrazione della Cina nel mercato mondiale, una minaccia di dissoluzione dell’Unione Europea e una crisi nord-americana mettono in discussione il destino del regime capitalista su scala mondiale, compreso il destino della transizione capitalista negli ex stati operai.
Tutte le classi sociali si confrontano con una crisi di potere; negli ultimi due anni e mezzo sono caduti 26 governi, compreso il rovesciamento di interi regimi politici, e sono avvenute rivoluzioni o semi-rivoluzioni in Nord Africa (in particolare in Tunisia ed Egitto). La crisi politica in Grecia si è manifestata nella caduta di tre governi in successione e ha lasciato posto alla rivendicazione politica di un “governo della sinistra”, in opposizione ad una coalizione tripartita di partiti capitalisti. Una tendenza alla dissoluzione del capitalismo, che è l’essenza di ogni crisi che pone in conflitto estremo lo sviluppo delle forze produttive ed i rapporti di produzione prevalenti, avvolge la Grecia e l’insieme delle relazioni politiche. Le masse lavoratrici cominciano ad irrompere nelle scenario politico mondiale, in maniera definitiva. Il periodo di euforia capitalistica, eccessivamente corto, che è seguito alla dissoluzione degli ex stati operai, è finito da molto tempo. L’evoluzione della crisi in numerosi paesi, le lotte e le ribellioni popolari, hanno posto fine alla speculazione per cui la crisi mondiale in corso si ridurrebbe ad un episodio economico dalle caratteristiche finanziarie limitate. Lo scenario mondiale è dominato dalle crisi del regime politico e dalle svolte delle masse.
La minaccia di dissoluzione dell’Unione Europea, o in alternativa, una conversione dell’Europa in un protettorato incaricato di riordinare in maniera brutale l’insieme del quadro sociale di questo continente, e dall’altra parte lo sviluppo della rivoluzione in vari paesi arabi e una minaccia di grandi guerre in tutta questa regione, vanno a configurare una situazione storica eccezionale. La politica rivoluzionaria deve consistere nell’orientare questo cambiamento per trasformarlo in una lotta per il rovesciamento della borghesia e la presa del potere da parte della classe operaia.
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La crisi dell’Unione Europea confuta nuovamente l’utopia di una unificazione pacifica del capitale finanziario (ultra-imperialismo), e rende chiaro il suo carattere reazionario, perché implica la sottomissione delle nazioni più deboli, uno svuotamento delle istituzioni formali della democrazia borghese e la tendenza a sopprimere l’autonomia nazionale e a sostituirla con un regime di protettorati. “Gli Stati Uniti d’Europa non costituiscono un superamento storico delle frontiere nazionali ma sono un’utopia reazionaria”(Lenin). La bancarotta capitalistica rappresenta, in Europa, un principio di dissoluzione dei regimi politici che sono emersi dalla Seconda Guerra Mondiale. Ciò si manifesta nell’apparizione di “governi tecnici”, imposti dalla Commissione Europea e dall’FMI, e nella tendenza alla dissoluzione dei regimi statali, come nel caso delle comunità autonome dello Stato Spagnolo, o nella rivendicazione dell’Indipendenza della Scozia (che si sommano alle provocazioni delle guerre imperialiste nei Balcani). Assistiamo, inoltre, a svolte sempre più marcate nella disposizione delle masse, con rapidi spostamenti a sinistra. È interessante notare la velocità che acquista questo sconvolgimento politico in Spagna e anche le manifestazioni che cominciano a prodursi in Italia in Francia. Gli Stati Uniti, cuore del capitalismo mondiale, soffocati dal peso di un debito pubblico del 140% del PIL, da un debito estero incommensurabile e dal crollo finanziario degli stati della federazione, si confrontano con una arretramento sociale storico.
Il carattere sistemico della crisi del capitalismo si manifesta, soprattutto, nell’ingresso della Cina nel circuito della bancarotta mondiale, dove le rivolte popolari e operaie crescono come funghi. La crisi sistemica del capitalismo mondiale (poiché include tutti i paesi e le attività economiche) ha luogo in condizioni storiche particolari: in primo luogo, il suo declino avanzato (esaurimento dello sviluppo della capacità delle forze produttive, compresa la minaccia della sopravvivenza del sistema planetario) in secondo luogo, un subconscio collettivo degli sfruttati, determinato dall’esperienza di costruzione di grandi organizzazioni di classe, comprese numerose rivoluzioni, qualche sconfitta e numerosi trionfi, che dimostrano la possibilità concreta di rovesciare il capitalismo e iniziare la transizione verso un ordine sociale storicamente superiore. Gli Stati Uniti d’Europa sotto la forma inevitabile di un protettorato , stimolano inevitabilmente alla lotta interimperialista con gli Stati Uniti ed il Giappone, e trascineranno la Russia e la Cina in una nuova guerra mondiale, senza spazi per nazioni “neutrali”. In opposizione a questa “utopia reazionaria”, proponiamo la lotta contro i piani di austerità della Commissione Europea-FMI e la difesa delle conquiste sociali ottenute dai lavoratori; la rottura nazionale con l’Unione Europea, per costruire gli Stati Uniti Socialisti d’Europa, comprendendo la Russia, vale a dire l’unità politica del proletariato d’Europa. L’inaugurazione di un nuovo periodo di rivoluzioni e guerre civili in Medio Oriente modifica in modo permanente le condizioni per la vittoria nazionale palestinese e la formazione di una repubblica palestinese laica, unita e socialista. La dipendenza dei movimenti nazionali palestinesi dalla borghesia e dalle classi feudo-capitaliste della regione possono essere definitivamente sostituite dall’unità politica degli operai e dei contadini del Medio Oriente.
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Lo sviluppo della coscienza politica della classe operaia, che era regredita per più di due decenni, ha ricevuto un enorme impulso come conseguenza della bancarotta capitalista. Per la sinistra rivoluzionaria e le masse si tratta di preparare, attraverso un nuovo periodo di transizione, il governo dei lavoratori.
L’America Latina non è stata ai margini della crisi mondiale, come hanno evidenziato le recessioni del 2008 e del 2009; i suoi governi(Messico, Brasile, Perù) hanno dovuto essere salvati dai prestiti della Federal Reserve (Banca Centrale degli USA), o dalla Central Bank of China (nel caso dell’Argentina). La crisi ha accentuato il regime di monoproduzione o di arretramento relativo dell’industrializzazione dipendente dal capitale internazionale, tanto finanziariamente che tecnologicamente. Si è prodotta un’apertura unilaterale maggiore verso il mercato mondiale, basata sulle esportazioni di minerali e cereali, e una contrazione relativa del mercato interno. Le borghesie nazionali sprecano le possibilità che gli offre la crisi mondiale per sviluppare le proprie forze produttive interne, per la semplice ragione che essa avrebbero dovuto nazionalizzare le banche ed il proprio commercio estero. La crisi mondiale ha fatto retrocedere il Mercosur; la politica monetaria è stata condizionata dall’azione della Federal Reserve USA. Negli ultimi mesi, lo sviluppo della crisi in Cina minaccia un aumento delle aliquote dell’esportazione; e per questi paesi importatori, ha generato una crisi alimentare fenomenale con una serie di rivolte popolari.
Gli alti prezzi delle materie prime sono stati utilizzati per incapsulare la miseria sociale con piani di assistenzialismo, e per accumulare riserve internazionali parassitarie, funzionali alla speculazione internazionale. L’assistenza sociale è presentata come un metodo di redistribuzione del reddito, quando in realtà consolida un esercito di disoccupati cronici, senza prospettive, che preme, simultaneamente, per un abbassamento dei salari e provoca, dall’altra parte, una maggiore differenziazione sociale in seno alle masse popolari. I governi nazionalisti si sono serviti di questi piani assistenziali per opporre le masse senza lavoro alla classe operaia. L’operaio dell’industria è presentato dal nazionalismo come “un’aristocrazia”, in questo modo, si giustifica una “redistribuzione del reddito” dall’operaio industriale alle masse senza impiego, attraverso le imposte sui consumi e la confisca delle pensioni. Questo “livellamento in basso” è stato ampiamente promosso dalla Banca Mondiale, dalle ONG e dalla filantropia capitalista. È anche un metodo di controllo sociale da parte degli Stati e delle loro agenzie sulle masse più colpite dalla crisi capitalista.
Invece di un’accumulazione di risorse produttive, le nazioni dell’America Latina stanno sperimentando la più grande fuga di capitali della propria storia. Nel caso del Venezuela, la cui attività produttiva fondamentale, il petrolio, è formalmente nazionalizzata, si registra una crisi dell’indebitamento senza precedenti della PDVSA, che dipende sempre più dagli accordi di partecipazione con i monopoli internazionali nell’esplorazione del Bacino dell’Orinoco. Dopo dodici anni di esperienza bolivariana, la struttura delle classi in Venezuela non è cambiata, né la sua economia di rendita. Le nazionalizzazioni delle aziende non hanno provocato uno sviluppo delle forze produttive, ma una battuta d’arresto.
I governi bolivariani (Alba) si vantano di aver realizzato un’integrazione senza precedenti nella storia regionale. Confondono l’apparenza con la realtà, ed il parolaismo con la sostanza. Niente lo dimostra meglio, in primo luogo, dell’arretramento persistente del Mercosur (dove è diminuito l’interscambio interno), attraversato da una disputa commerciale interna in piena crisi mondiale. Lo scopo principale di questa organizzazione – negoziare, come blocco, una maggiore integrazione nel mercato mondiale – si è concluso in un fallimento (è stato appena firmato un accordo di libero scambio… con Israele!). Il Brasile e l’Argentina stanno incorporando il Venezuela nell’associazione, ma si tratta di un accordo vuoto di contenuto. La commentata integrazione energetica che postulava questo accordo è stata confutata dal fallimento dell’accordo tra Brasile e Venezuela per la costruzione di una raffineria binazionale a Pernambuco. Senza contare che il governo di Hugo Chavez dovrà aprire l’economia al regime sionista. I due principali progetti d’integrazione – il gasdotto continentale e il Banco do Sul sono stati archiviati; né a preso forma la sostituzione del dollaro da parte delle monete locali negli interscambi regionali.
Il “socialismo del XXI secolo” è condizionato ad una partecipazione e ad un’integrazione capitalista che non punta all’indipendenza dell’America Latina, né tanto meno a superare il capitalismo. Dilma Roussef e Cristina Kirchner sono state incapaci di impedire il colpo di stato contro Lugo, come era avvenuto prima con l’Unasur prima del rovesciamento del presidente dell’Honduras Zelaya. Brasile ed Argentina sottopongono il Paraguay ad uno sfruttamento semicoloniale, in primo luogo con il saccheggio energetico a cui sottopongono la nazione guaranì, e dall’altra, attraverso il monopolio commerciale che esercitano sopra l’esportazione della soia paraguiana, a beneficio dei monopoli internazionali e nazionali con sede a Sao Paulo e Rosario (Argentina). Roussef e Kirchner non potevano fare più di quanto hanno fatto contro il golpe a danno di Lugo, perché proteggono nei loro paesi gli stessi interessi del capitale latifondista della soia.
L’entrata prodotta dall’energia elettrica di Itaipu e Yacireta che si assomma a quella del petrolio e del carbone, essendo determinato dal mercato mondiale, è appropriato dal Brasile e dall’Argentina, a detrimento del Paraguai (la retribuzione del Paraguay si stabilisce secondo un regime di costo + profitto, e non tiene conto, perciò, dell’elevato rendimento dell’energia idroelettrica). Il tentativo di Lugo di aumentare la quota di tale reddito a favore del Paraguay è stato respinto senza mediazioni dai suoi vicini “integrazionisti”. Questa esperienza dimostra come sia infondata la proposta del Frente Guazù del Paraguay, che punta all’integrazione latino-americana come via per lo sviluppo delle forze produttive nazionali. Questa soluzione è possibile solamente attraverso il recupero della sovranità energetica; la nazionalizzazione della terra; la statalizzazione del commercio estero.
Nel quadro di questa situazione regionale del Paraguay, si gestisce l’installazione nel paese dell’impresa mineraria canadese Rio Tinto, che consumerà il surplus di energia che produce il paese e devierà le entrate energetiche verso il monopolio minerario. Rio Tinto ritrasformerà le materie prime importate per produrre alluminio, al solo scopo di monopolizzare le entrate dell’elettricità. Gli interessi dell’oligarchia paraguayana (che comprendono i periodici latini “brasiguarios”), d’altra parte, sono profondamente intrecciati con gli affari messi su nel paese dal business agricolo brasiliano e dai grandi monopoli agricoli imperialisti. Il Paraguay è uno dei paesi al mondo con la maggiore concentrazione fondiaria: il 2% della popolazione possiede l’85% delle terre, compresi gli otto milioni di ettari usurpati durante la dittatura di Stroessner, corrispondenti al 20% del territorio. L’integrazione latino-americana che favorisce soprattutto il Brasile serve agli interessi dei grandi costruttori di opere infrastrutturali (appaltatori), connessi agli investimenti del capitale minerario internazionale, ed in stretta relazione con il capitale delle macchine pesanti degli Stati Uniti (Caterpillar).
Come socialisti rivoluzionari denunciano i limiti insormontabili di integrazione capitalista dell'America Latina e gli obiettivi di sfruttamento dei monopoli internazionali che si associano alla richiesta di integrazione, e difendiamo la confisca del latifondo, la nazionalizzazione delle banche e del commercio estero, e la creazione di una federazione socialista.
La presenza militare statunitense nella regione non è stata indebolita. È sempre presente in Colombia e Panama; si manifesta nelle esercitazioni militari congiunte e nei contratti di produzione militari con i governi della regione. In funzione dell'operatività della Quarta flotta degli Stati Uniti, si negoziano basi militari nel Chaco argentino e paraguiano. Il sostegno degli Stati Uniti all'occupazione militare britannica delle Malvinas è funzionale a questa strategia. La più volgare manifestazione della pretesa emancipatrice del latino-americanismo piccolo borghese è l'occupazione militare di Haiti, da un lato, ed il rifiuto della rivendicazione dell’indipendenza di Porto Rico e della sua integrazione in una federazione socialista dell'America Latina e dei Caraibi.
L'inizio dei negoziati di pace tra il governo colombiano e le FARC può essere considerato come un riconoscimento del carattere di forza belligerante della guerriglia, da parte dello Stato e delle forze armate, e come un passo verso la cosiddetta "soluzione umanitaria "del conflitto. Tuttavia, l'obiettivo strategico di questa negoziazione è di sviluppare un soluzione capitalista attraverso la grande espropriazione dei contadini che è avvenuta in Colombia; incorporare milioni di ettari nel mercato della soia internazionale; sviluppare la penetrazione del capitale finanziario nel petrolio colombiano; risolvere la questione dell'integrazione delle forze paramilitari colombiane nel regime politico; e, sopra ogni cosa, consacrare la collaborazione del chavismo e del castrismo all’ordine capitalista-proprietario dei Caraibi. Perciò, questi negoziati sono supportati da tutto l'establishment internazionale che cerca, anche in questo modo, di assimilare il chavismo e rafforzare il quadro internazionale per una restaurazione completa del regime di proprietà privata a Cuba. Questo nuovo ricorso ad un "negoziato di pace", che impegna i guerriglieri a sostenere il regime politico vigente, è una nuova prova che la violenza o il militarismo non costituiscono di per sé un programma di emancipazione. Denunciamo i limiti invalicabili dei negoziati di pace come strumento per porre fine alla miseria delle masse caraibiche e all'assoggettamento nazionale dei loro paesi, e ci appelliamo per approfittare della "pacificazione" che potrebbe derivare dai negoziati per rafforzare l’organizzazione operaia e popolare, avanzare nelle rivendicazioni, sviluppare la lotta di massa, e infine, puntare ad una alternativa operaia e socialista.
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I governi nazionalisti piccolo-borghesi, civili o militari, pretendono di assumere la rappresentanza storica degli interessi popolari. Cercano di fondare la propria legittimità politica in opposizione alla “destra”(utilizzando questa funzione anche per occultare la presenza nel proprio seno di una poderosa e, dominante, destra indigena).
L’Argentina, colpita da una grave crisi fiscale che colpisce la capacità di arbitraggio del kirchnerismo, assiste ad un principio di rottura della classe operaia con il governo, ed anche ad un principio di ascesa della sinistra. Le misure interventiste parziali stanno portando ad una dislocazione dell'economia, aggravando la fuga di capitali e provocando una recessione che colpisce settori fondamentali della classe operaia. La burocrazia sindacale affronta questa crisi, screditata e contestata da un nuovo attivismo sindacale che cerca di recuperare i sindacati ad una politica indipendente. Nella regione, il governo del Brasile si sta schierando in prima linea nel tentativo di scaricare la crisi sulle spalle dei lavoratori. All’annunciato nuovo ciclo di privatizzazioni dei porti, delle autostrade e degli aeroporti, con generose sovvenzioni per le grandi imprese, aggiunge un programma completo antioperaio che punta alla distruzione della legislazione sul lavoro. La strategia è procedere con una gigantesca confisca di risorse per sovvenzionare le aziende private ed attenuare la caduta del saggio di profitto. La reazione delle masse comincia a trasformare lo scenario politico, ostruito per quasi un decennio da un governo di collaborazione di classe e di sottomissione dei sindacati attraverso le burocrazie del CUT e dell’MST. Di fronte agli scioperi nazionali di almeno 35 categorie di dipendenti pubblici, Dilma Rousseff è ricorsa a tutte le risorse legali ed illegali per fronteggiare gli scioperanti. Criminalizzazione delle lotte, nessun pagamento dei giorni di interruzione del lavoro, aumento della violenza contro i poveri, decreti incostituzionali contro il diritto di sciopero, hanno rivelato agli occhi delle masse il carattere antioperaio e antipopolare del governo brasiliano.
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La mobilitazione più ampia e radicalizzata della gioventù, come ci dimostra il Cile, è un fattore fondamentale della situazione politico latino-americana. La ribellione contro l’"aggiustamento" del settore dell’educazione ha caratteristiche internazionali, come testimoniano le lotte che si verificano dal Cile al Canada, passando per la Colombia e l’Europa. Sono il risultato della privatizzazione dell'istruzione e dell'enorme peso economico assunto dalle famiglie per il finanziamento degli studi. La bancarotta finanziaria ha messo in crisi questo sistema, anche nei paesi ricchi. In quelli più poveri porta alla rovina dei municipi, che hanno la responsabilità della formazione primaria. La crisi globale rafforza l’asfissia del bilancio per l'istruzione pubblica ed i sostegni della capacità economica dell'istruzione privata. In America Latina, le grandi mobilitazioni degli studenti cileni hanno messo sotto scacco l'intero sistema politico.
La ripresa nel 2012 delle proteste degli studenti cileni, è diventato l'asse di mobilitazione nazionale degli oppressi nel paese, tenendo sotto scacco il governo di Piñera. Il Cile è l'esempio estremo della distruzione dell'istruzione pubblica, attraverso la definizione di piani della Banca Mondiale, imposti a ferro e fuoco da Pinochet. In Argentina, la gioventù rivoluzionaria svolge un ruolo dirigente nelle università più importanti, resistendo agli attacchi del governo Kirchner, che vuole mettere le organizzazioni forgiate attraverso la lotta degli studenti al servizio dello Stato. Il processo contro i responsabili dell'assassinio del giovane militante del Partido Obrero, Mariano Ferreyra, eseguito da un gruppo para-militare della burocrazia sindacale, ha trasformato una rivendicazione di giustizia in un’autentica causa nazionale della gioventù. In Brasile, lo sciopero dell'università ha visto la partecipazione massiccia di studenti al di fuori delle strutture irreggimentate dal governo. In Messico, il ritorno del PRI al potere, lungi dal rappresentare una restaurazione dell'autorità di uno Stato che è in via di disgregazione cronica, è stato preceduto dall’emergere di un grande movimento della gioventù, lo Yosoy132. Il governo di Peña Nieto, rabbiosamente pro-imperialista e con un ampia agenda antipopolare, deve affrontare una gioventù "indignata" che occupa le strade.
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Sotto un apparente inerzia politica istituzionale a Cuba si sta sviluppando un terremoto socio-economico. In nome dell’ "aggiornamento del modello economico cubano" si è aperta la strada di concessioni crescenti al capitale straniero e a varie vie per l’accumulazione del capitale interno (acquisto e vendita di case ed immobili, di veicoli, ecc.), rafforzato economicamente dalle rimesse di Miami. La crescente dipendenza dal turismo sviluppa in maniera particolare il cosiddetto "male olandese", perché rende più costosa, in termini internazionali, la produzione interna, in primo luogo dell'agricoltura. Le importazioni di prodotti alimentari per il consumo del turismo ostacola la valorizzazione dell'agricoltura cubana, che rischia di produrre un esercito cronico di disoccupati insieme ad una popolazione licenziata dalle imprese statali, in una sorta di "piano di aggiustamento socialista". La doppia moneta e la circolazione del dollaro nel settore turistico (principale fonte di valuta estera del paese, e di reddito per una parte consistente della popolazione) accelerare i meccanismi interni di accumulazione. La differenziazione sociale cresce rapidamente e stimola la bramosia della burocrazia di trasformarsi in classe proprietaria.
La crisi capitalistica mondiale accelera, da un lato, la tendenza alla restaurazione capitalista, mentre la rende, dall’altra parte, più catastrofica. Abbiamo notato nell’isola forti tendenze alla discussione politica. La mancanza di libertà e dei diritti politici ostacola la capacità dei lavoratori di far fronte alla crisi in funzione dei propri interessi. La libertà sindacale e politica è una rivendicazione fondamentale per lottare per una soluzione socialista. Soprattutto, il destino della rivoluzione cubana è nelle mani (e sotto la responsabilità) dei lavoratori di tutta l’America Latina.
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La sinistra rivoluzionaria ed il socialismo sono di fronte, in America Latina, ad una sfida storica. La bancarotta capitalista e l'esaurimento delle nuove esperienze nazionalistiche costituiscono il terreno storico potenziale del recupero delle forze del movimento rivoluzionario. Il compito attuale è, in primo luogo, discutere della caratterizzazione del momento storico attuale per sviluppare, contemporaneamente, un fronte unico continentale della sinistra rivoluzionaria. Non dobbiamo dimenticare, nemmeno per un istante, che le masse seguono, o sono ancora prigioniere dell'esperienza dei movimenti nazionalisti, che possono superare soltanto attraverso la propria esperienza, questo sempre che la sinistra rivoluzionaria intervenga in tale esperienza; ciò rende evidente il carattere di auto-proclamatorio e liquidazionista del propagandismo testimoniale.
L'impasse più acuto della sinistra si manifesta in Venezuela, in cui una parte importante del movimento operaio vota un’opposizione "squallida", come falso mezzo di lotta contro la statalizzazione dei sindacati da parte chavismo. I nazionalisti sono molto coscienti dell'impatto devastante della crisi globale sulle proprie basi politiche. Di conseguenza, si presentano come "anti-aggiustamento" e anche come anticapitalisti mentre "aggiustano" e patteggiano con il grande capitale, in particolare, con il capitale minerario e con i grandi costruttori. Ricorrono, di fronte alla crisi, ad espropri isolati e ad un interventismo economico "sui generis", che la borghesia si aspetta siano episodici. Utilizzano questa risorsa per coprire, dal punto di vista ideologico, un’implacabile cooptazione del movimento operaio e delle organizzazioni sociali, che appoggerebbero, dicono, il "progetto nazionale".
Non si tratta di opporre al “discorso” nazionalista il "discorso" socialista, con l’illusione di appoggiare da sinistra il bonapartismo nel governo, ma di denunciare i limiti della politica nazionalista e l'ipocrisia dei suoi discorsi per organizzare i settori operai più avanzati e, infine, le masse, per contendere al nazionalismo il potere politico. In questo contesto, lo sviluppo delle rivendicazioni operaie e popolari, stimolate dalla crisi globale, ed il naufragio dell’interventismo economico nazionalista, costituiscono uno strumento decisivo per mobilitare ed organizzare le masse influenzate dall'esperienza nazionalista.
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Il golpe contro il presidente Lugo in Paraguay ha offerto delle lezioni crudeli, perché Lugo è stato sconfitto dai suoi stessi alleati politici. La sinistra paraguaiana ha seguito, sotto questo aspetto, l'esperienza brasiliana, anche se in maniera molto più degradata: Lugo prese come modello il governo Lula, ma mancava delle risorse politiche del PT, che si è alleato con la destra e la PMDB, e ricorse alla corruzione per mantenere quest’alleanza di governo (l’indennità mensile). Lula e Lugo hanno riprodotto la stessa alleanza con il grande capitale locale e con la vecchia politica. Questa politica rinvia anche all’esperienza cilena del dialogo democratico tra il PS e la Democrazia Cristiana. Si tratta di varianti di destra del "fronte popolare", storicamente promosso dallo stalinismo.
Lo stesso vale, in una certa misura, per il Frente Amplio dell'Uruguay, in cui la frazione di Danilo Astori, legata al capitale finanziario, e ad alcuni funzionari del governo “bianchi”, costituiscono un’ estensione a destra del Frente Amplio. Il Frente Amplio dell'Uruguay, una forma più classica di fronte popolare, sta sviluppando un’esperienza politica di repressione contro il movimento operaio (militarizzazione degli scioperi operai, come nel caso, tra gli altri, degli scioperi dei funzionari municipali di Montevideo), con la collaborazione della maggioranza del gruppo dirigente del PIT-PNT, legata al Partito Comunista uruguaiano. Date le condizioni, la presenza di una frazione dei sindacati che si oppone alla politica ufficiale, offre la prospettiva di un'alternativa politica a partire dalla classe operaia. In piena crisi, nel caso del Cile, a causa della mobilitazione degli studenti, si sviluppa un nuovo tentativo di fronte populista guidato da Michelle Bachelet; in Paraguay, l’impasse del movimento operaio e contadino si manifesta nella mancanza d’indipendenza politica della sinistra rispetto alla leadership di Fernando Lugo, che è stato appena protagonista di un colossale fallimento politico che ha messo in evidenza la straordinaria incapacità di affrontare la destra golpista. La sinistra paraguaiana ha la responsabilità, in primo luogo, di formulare un programma che si opponga all’"integrazionismo" capitalista, difendendo la rivoluzione agraria ed il governo operaio e contadino.
Non si può trascurare il ruolo reazionario di questi fronti popolari a livello internazionale. Il PT è stato l'architetto della conversione della candidatura alla presidenza del peruviano Ollanta Humala in un agenzia del capitale minerario e delle imprese di costruzione brasiliane, e anche in Venezuela, il PT tiene i piedi in due staffe, perché ha raccomandato la candidatura di Capriles, mentre proclamava il proprio sostegno ufficiale a Hugo Chavez.
La prospettiva di uno spostamento rivoluzionario in America Latina pone acutamente nell'agenda politica la lotta per l'espulsione della burocrazia sindacale e l'indipendenza del movimento operaio. La strategia rivoluzionaria consiste, essenzialmente, in un’unione della sinistra rivoluzionaria con il movimento operaio. Ciò richiede un lavoro incessante nei sindacati esistenti; compreso lì dove la sinistra rivoluzionaria sta conquistando posizioni sindacali e raggruppando diversi sindacati, la parola d'ordine del fronte unico, rivolto ai sindacati tradizionali, è assolutamente fondamentale; da una parte, per garantire una lotta di massa contro governi capitalisti, e poi, per sviluppare una comune esperienza con i lavoratori organizzati in questi sindacati.
Tra gli orrori delle guerre imperialiste contro i popoli dipendenti, che hanno già un carattere seriale, lo stesso imperialismo da impulso a processi democratico-elettorali, e giustifica anche le guerre per tale obiettivo. Non si può, tuttavia, considerare tutti i processi elettorali allo stesso livello, perché in molti paesi, e soprattutto in America Latina, emergono in misura significativa a seguito delle lotte delle masse contro le dittature imposte dall'imperialismo. I processi elettorali sono un vero rompicapo per la sinistra rivoluzionaria: alcune tendenze subordinano tutta la loro azione politica all'obiettivo di entrare in parlamento, come dimostrano le esperienze della Sinistra Unita e Proyecto Sur, in Argentina; altri hanno opposto alla lotta elettorale un falso operaismo o sindacalismo, che nasconde qualcosa di fondamentale: l'assenza di una lotta politica unitaria contro lo Stato ed i suoi partiti, che si esprime in primo luogo, nell’assenza di un programma e nel disprezzo della lotta legislativa e parlamentare. Considerano uguali riformismo e lotta parlamentare, quando ciò che distingue il riformismo è il suo compromesso strategico con lo Stato borghese.
Questa impasse esprime il carattere strettamente sindacalista della sinistra rivoluzionaria, che concepisce la propria costruzione come un progressivo accumulo di forze in campo sindacale. Si tratta di un economicismo alla latinoamericana. Il lavoro socialista rivoluzionario, come metodo, deve consistere nella propaganda e nell'agitazione socialista in opposizione allo Stato capitalista ed ai suoi partiti. La campagna del Frente de Isquierda in Argentina, nel 2011, è stata una scuola di politica socialista in ambito elettorale. La partecipazione elettorale non deve essere un’interruzione del lavoro nei sindacati, ma la continuazione del compito strategico di propaganda e di agitazione e di formazione di tribuni operai e rivoluzionari in grado di sviluppare il programma rivoluzionario, in maniera pedagogica di fronte ai lavoratori ed agli sfruttati. La pseudo-democrazia borghese deve essere superata attraverso l'esperienza, non con le parole, anche nel suo stesso terreno.
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Noi rifiutiamo l'installazione di nuove basi USA nel Chaco argentino e paraguaiano, e chiamiamo a rompere tutti gli accordi militari esistenti con l'imperialismo.
Di fronte alla crisi, proponiamo: nessuna sospensione dal lavoro o licenziamento, la distribuzione delle ore di lavoro senza ridurre lo stipendio. E l’indicizzazione dei salari e delle pensioni in linea con l'inflazione.
Di fronte al tentativo di irreggimentazione dei sindacati da parte dei governi nazionalisti, rivendichiamo la libertà della contrattazione collettiva e l’indipendenza dei sindacati.
Denunciamo il ruolo della burocrazia sindacale integrata nello Stato e difendiamo la lotta per la piena democrazia sindacale ed un’alternativa classista.
Spingiamo alla lotta per i diritti democratici, in particolare, in difesa del diritto illimitato di sciopero, e per il diritto all’organizzazione e all’espressione politica indipendente per i lavoratori e la gioventù.
Cancellazione dei pagamenti del debito estero e del debito pubblico usuraio, con la protezione dei diritti dei piccoli risparmiatori. Completa nazionalizzazione delle banche, del commercio estero e delle imprese privatizzate, senza indennizzo e sotto controllo operaio.
La nazionalizzazione di tutte le imprese sovvenzionate dallo Stato, l’apertura dei libri contabili, e la riorganizzazione finanziaria e industriale sotto la gestione dei lavoratori.
La riforma agraria con esproprio senza indennizzo dei grandi proprietari terrieri e del grande capitale agro-alimentare.
La nazionalizzazione degli idrocarburi e dei depositi minerali, di tutte le risorse naturali in America Latina senza indennizzo dei monopoli capitalistici. Espulsione delle cricche capitaliste dal direzione delle società interamente o parzialmente statali, per metterle sotto il controllo di gestione dei lavoratori.
La crisi la paghino i capitalisti. Per l'unità socialista dell'America Latina e dei Caraibi, compresa Porto Rico.
Traduzione a cura della sezione Pcl Sassari
Link versione spagnola http://po.org.ar/blog/2012/10/13/la-bancarrota-capitalista-sacude-a-america-latina-por-una-alternativa-obrera-y-socialista/
(Dal numero di Maggio\Giugno de "La Comune"- Pcl Cosenza)
Fincantieri:
Una nave che affonda …
Storie di sfruttamento del comparto
Indotto: intervista a Rolando Cardone operaio Imsa
La
crisi della cantieristica Fincantieri in Italia sembra non arrestarsi. A pagarne
le conseguenze, sono le maestranze dell’intero settore navale che a oggi vedono
sempre più una via d’uscita della crisi del capitalismo combaciare con la
perdita del proprio posto di lavoro.
Eppure
se consultiamo gli ultimi dati approvati dal cda Fincantieri, riunitosi a Febbraio,
paradossalmente essi confermano un bilancio positivo per l’anno 2011 che
registra ricavi per 2,4 miliardi di euro e di una solida struttura patrimoniale
e finanziaria che supera il miliardo di euro. Questo macrodato importante
indica che la maggior parte (circa l’80%) delle commesse, che Fincantieri si è aggiudicata,
derivano da armatori: provenienti dalla
crocieristica: inglese (Gruppo crocieristico della Carnival : brand P&O Cruises e brand Costa Crociere)
e francese (Compagnie Du Ponant), inoltre si contano commesse per il settore
militare per paesi come la Repubblica Dominicana, l’Algeria e soprattutto la
potente U.S. Navy, la Marina statunitense, con cui si è assicurata una favolosa
commessa di 715 milioni di euro per il progetto LCS (Litoral Combat Schips).
Commesse e joint venture da capogiro come ad esempio quella da poco siglata con
gli Emirati Arabi che porteranno benefici per l’azienda visto che può
disporre sull’utilizzo di un proletariato
arabo super sfruttato, oppure, per rimanere sempre negli Stati Uniti,
assistiamo al progetto di realizzazione di 250 unità (40 delle quali da
consegnare entro il 2013) per la Guardia Costiera statunitense per un’ ammontare
che si aggira intorno ai 600 milioni di euro. Insomma tutto lascia presagire
che l’interesse di Fincantieri, come quello di tante altre grandi
multinazionali, vedi la Fiat, sia quello
di de localizzare la propria produzione in questi mercati dove possono
utilizzare a loro piacimento una manodopera schiavizzata con salari da fame che
alla fine garantisce grandi margini di profitto per i magnati del capitale,
scaricando alla fine tutti i sacrifici della crisi sulle spalle dei lavoratori.
Con
un rappresentante di quest’ultima . Rolando Cardone, cercheremo di capire quali
saranno le sorti e le prospettive di migliaia di lavoratori che lavorano
all’interno di Fincantieri e del suo Indotto.
Rolando, questa grave crisi della
cantieristica navale Fincantieri aggrava
di giorno in giorno il futuro di migliaia di lavoratori. D’altronde la firma dell’accordo
del 21 Dicembre 2011 fra dirigenza ed i sindacati collaborazionisti (Cisl,Uil,Ugl
e Failms) prevede di fatto un piano di
ristrutturazione con l’esubero di 1248 operai fra i due dei più grandi
stabilimenti Fincantieri: Castellammare e Sestri, dimostrando a tutti che la
prospettiva di chiusura per questi due siti non è poi cosi tanto lontana. Di
certo i lavoratori dell’indotto non se la passano meglio dei loro colleghi, visto
che oggi siamo arrivati alla messa in discussione per quanto riguarda l’erogazione
della cassa integrazione, mezzo vitale di sopravvivenza per tantissimi lavoratori.
Di fronte a questo scenario drammatico,
ti chiedo : qual è stata l’evoluzione di questa vertenza nel corso di
questi anni e quali prospettive prevedi
nel medio/lungo periodo per le maestranze di tutto il settore Fincantieri?
L’accordo del 21
Dicembre tocca il nostro stabilimento in quanto prevede da un lato la
costruzione del bacino, l’ammodernamento dello scalo, la ristrutturazione del
cantiere di Castellammare,attraverso la pre fabbricazione dei reparti B1 B2
definiti fatiscenti, dall’altro lato gli esuberi di una classe lavoratrice
molto giovane compresa in una fascia media che va dai 25 ai 35 anni. Del resto,
in questi ultimi mesi, la lotta negli altri stabilimenti ha generato una
solidarietà fra gli stessi lavoratori Fincantieri: si veda ad esempio il
rifiuto della commessa da parte degli operai di Marghera motivata dal fatto che
da essa dipendevano le sorti dei lavoratori di Ancona che attualmente possono
prendere una temporanea boccata d’ossigeno. Ma per noi di Castellammare il discorso
è un po’ differente. Le ragioni sono da
imputare all’arretratezza del livello di coscienza nella lotta per la difesa del
nostro cantiere, lotte che per forza dei conti chiedono immensi sacrifici … oppure
vogliamo parlare della totale assenza in tutti questi anni di lotta di un
qualche momento assembleare o di un centro di aggregazione fra i lavoratori, visto
che da sempre le vere decisioni sono sempre state prese da quei “sindacalai”
che hanno contribuito alla formazione culturale,
di una forma mentis che risiede nel clientelismo di stampo camorristico. Fra l’altro
la crisi non ha fatto altro che rendere visibile a tutti questo sistema
clientelare che è sempre esistito. Pensa che oggi arriviamo addirittura alla
minaccia da parte di certi sindacalisti nei confronti degli stessi lavoratori dell’Indotto, con la
scusa che se questi ultimi non avessero accettato di firmare qualsiasi accordo
non avrebbero ricevuto alcun indennizzo. Questo è il modo con cui gli operai
sono stati educati. Ovviamente tutto ciò ha generato un odioso meccanismo, fra
gli stessi lavoratori, di vero e proprio sfruttamento, come dimostra il caso
dell’Indotto, dove si accettano condizioni di lavoro precario, non idoneo,
appaltatori che gareggiavano ad appalti di milioni di euro non pagando
contributi, non pagando i termini sicurezza, non retribuendo quello che deve essere
realmente retribuito ed infine giocando con l’idea di disuguaglianza fra gli
stessi lavoratori. Devo dire che a Castellammare, Fincantieri nel corso degli
anni ha potuto contare su un notevole bacino dell’Indotto di una manodopera
molto specializzata nella cantieristica
e nella costruzione delle navi, ma purtroppo essa è stata sempre mal pagata, privata
di tanti diritti e vittima di speculazioni imprenditoriali. Ad oggi concludiamo
che questo settore è scremato da 1500 lavoratori a 380 lavoratori, i quali oggi
subiscono la cassa integrazione per cessazione di attività. Perciò lo strumento
della cassa integrazione, oltre a sentenziare la fine di una prospettiva
pensionistica, ha fornito la dimostrazione agli operai di come il padrone li
consideri tutti allo stesso modo, senza alcuna distinzione. Peraltro se siamo arrivati che lo scorso anno
su un totale di 1200 operai Fincantieri hanno lavorato soltanto 370 ,
quest’anno invece finiremo che da questi 370 (100 dei quali verranno o pre
pensionati o messi in mobilità) toccheremo la soglia 0, visto e concesso quello che prevede l’accordo
peggiorativo di Dicembre. D’altronde quest’eredità può essere rintracciata
anche nell’accordo locale firmato fra Fincantieri, il Comprensorio Vesuviano ed
i sindacati confederali (Cgil,Cisl e Uil) che stabiliva la ricollocazione
percentuale di cassaintegrati senza alcun criterio, generando cosi un processo
speculativo allora fiorente ma che oggi si è evoluto in una vera e propria
desertificazione industriale di un settore dove lavoravano circa 25.000
lavoratori.
Complici di queste politiche criminali,
portate avanti dal padronato, sono stati
anche le istituzioni locali (Bobbio, Cesaro e Caldoro) e nazionali (Governi
Berlusconi e Monti). Come giudichi l’operato di questi rappresentanti della
borghesia reazionaria?
Se inizialmente il
sindaco Bobbio si è speso in campagna elettorale per la creazione di nuovi
investimenti per il nostro cantiere, dobbiamo constatare che fino ad oggi egli non
ha fatto completamente nulla, mostrando
la sua faccia di populista incompetente per la risoluzione di una crisi di
questa portata.
Il Protocollo d’Intesa è o non è una
bufala?
Questo protocollo non
è che uno dei tanti piani che non so quanti la Regione Campania ne abbia
stilato nel tempo, come gli altri esso si
basa soltanto su vaghe idee senza alcun rapporto con la realtà.
Fino a poco tempo fa, hai condotto una
battaglia sindacale interna contro la burocrazia Cisl, targata Bonanni, per
difendere gli interessi dei lavoratori. Quali sono state le motivazioni che ti
hanno spinto ad abbandonare questo sindacato?
Hai detto bene! Nel
corso della mia vita sindacale ho sempre dovuto lottare con un sindacato che
difendeva e difende ancora il vero e puro clientelismo. Preciso che la scelta
della Cisl è stata di per sé obbligata, essendo questo sindacato l’unico presente nel
settore dell’indotto dove cui lavoro.
In conclusione, se io ti dicessi che
l’unica prospettiva vincente che può portare seriamente un miglioramento delle
condizioni oggettive dei lavoratori Fincantieri, passerebbe per un processo di radicalizzazione della
lotta con l’utilizzo di metodi come: gli scioperi, le occupazioni, gli espropri
degli stabilimenti senza indennizzo, le assemblee partecipate, i consigli di
fabbrica, insomma in poche parole la costituzione di un “Potere ed un Governo Operaio”…
cosa mi risponderesti?
Nella lotta
Fincantieri quello che oggi è mancato sono stati proprio : gli scioperi, le
occupazioni, le assemblee libere da ogni pilotaggio da parte dei burocrati.
Premesso che condivido tutte queste forme di lotta, credo che oggi sia
indispensabile: 1) il rafforzamento della solidarietà fra tutti gli
stabilimenti Fincantieri e 2) il risveglio della lotta che porti alla
formazione di un Governo Operaio.
A cura di Giovanni Aprea
(Dal numero di Marzo del Giornale Comunista dei Lavoratori)
EAVBUS – PROSSIMA FERMATA: FALLIMENTO
PILOTATO!
Storie di sfruttamento : Intervista a
Vincenzo Tripodi , lavoratore Eavbus autotrasporti
La crisi economica
del sistema capitalistico non risparmia nessun lavoratore, infatti questa
classe è considerata la vittima sacrificale per eccellenza da
immolare sull’altare dei profitti di Banche e Confindustria. Esecutore
testamentario di questo volere ,imposto dai poteri forti, è : il governo “Monti – Napolitano – Passera”
che viene accolto e servito a braccia aperte dalle forze politiche servili sia
di centrodestra (Pdl, Terzo Polo) che di centrosinistra (Pd, Idv e Sel).
Una delle tante
ripercussioni di questa crisi è riscontrabile nel settore dei trasporto
pubblico che , in Campania ma come in tutta Italia, vede i lavoratori vessati
da tagli(sia del comparto produttivo, sia del personale), licenziamenti
(Indotto incluso), selvagge e
goliardiche privatizzazioni , introdotte nel prossimo pacchetto “Salva – Banche”, agli occhi dei
grandi pescecani del capitale.
L’esperienza di
Vincenzo , lavoratore Eavbus, ci darà un quadro analitico volto a chiarire lo
stato tragico in cui versa l’azienda campana dove lui lavora.
Vincenzo, dopo mesi se non anni di dure
battaglie da parte dei lavoratori Eavbus a difesa dei loro diritti e dei loro
stipendi, qual è attualmente lo stato in
cui si trova l’azienda? Inoltre che
prospettive prevedi per il futuro dei lavoratori?
Un futuro
completamente nero. Siamo letteralmente al capolinea e la destinazione che ci
prospetta è il fallimento e se non si fallisce … una lenta agonia fino alla
privatizzazione del servizio pubblico a cui la Regione sta lavorando per dar
vita ai bandi di gara per l’affidamento delle linee (ovviamente al ribasso!) ed
a farne le spese saranno utenti e lavoratori (in barba ai Referendum contro le
privatizzazione dei beni comuni dello scorso Giugno) . Purtroppo questa corsa
infernale della Eavbus è iniziata nel 2008 quando è avvenuto il primo
accorpamento dei lavoratori del servizio automobilistico ex Circumvesuviana ,
Metrocampania e Sepsa . Questo ha portato in un sol colpo di spugna la
cancellazione di anni di lotte e di accordi migliorativi (perdita del secondo
livello e del Cau) soprattutto per i nuovi assunti post accordo. Dopo di che le
cose sono continuate a peggiorare :
partendo dalla totale assenza di un Piano Industriale, alle carenze croniche di
personale e quindi di turni di lavoro massacranti del personale che ,come molti
studi mostrano , portano a serie ripercussioni
sul nostro organismo psico-fisico,ma il bello deve ancora venire!
Infatti mentre si bastonavano i lavoratori con ristrutturazioni e deportazioni
, lampante è il caso di Ischia dove le condizioni di sfruttamento che i
lavoratori subiscono sono impressionanti, l’azienda retribuiva e retribuisce
ancora stipendi da capogiro ad un
esercito sterminato di clientele ed affaristi (un esempio su tutti sono i premi
di risultati ai dirigenti che possono andare
dai 30.000 ai 50.000 euro), tutto ciò con la piena complicità della politica regionale sotto la guida Bassolino
& Cascetta prima e Caldoro – Cosentino – Vetrella – De Mita poi , abili a
designare i loro “trombati di lusso” provenienti da elezioni e subito porli ai piani alti
dell’azienda. In tutto questo letamaio siamo arrivati ad oggi che gli impianti con bus sono fermi nelle
rimesse per mancanza di gasolio, assicurazione Rc e di pezzi di ricambio indispensabili per la
circolazione in sicurezza dei veicoli ormai fatiscenti ed obsoleti dove anche
su questo tema è eclatante l’ulteriore sperpero di denaro pubblico nella mega
commessa di 1950 bus (400 milioni di euro più iva per i contribuenti campani)
originariamente destinati al rinnovo del parco macchine , ma che Eav ha
“rivenduto” in giro per l’Italia (solo 100 in Piemonte).
Tu sei iscritto al sindacato di base
“Slai Cobas” , qual è lo stato dei sindacati all’interno della Eavbus? E quali
sono le risposte che lo Slai Cobas porta ai lavoratori?
I sindacati
confederali all’interno della Eavbus (Cisl, Uil, Ugl e Cgil) hanno sempre
avallato politiche clientelari in combutta col padronato , narcotizzando di
fatto i lavoratori con promesse mai mantenute ed ad oggi ancora più assurde
visto la prospettiva incombente del fallimento. Di fatto l’unico sindacato
che si è sempre schierato coerentemente dalla parte dei lavoratori resta lo
Slai Cobas che con le sue lotte di denuncia : delle pratiche clientelari
azienda – sindacati , alla difesa di ogni posto di lavoro e di ogni diritto
sindacale (strappabile solo con i mezzi della lotta di classe), alla
ristrutturazione dei turni e dei carichi di lavoro … Ci tengo anche a sottolineare
i risultati che lo Slai Cobas in questi anni ha ottenuto con dure battaglie su tutti i fronti: a
partire dalla lotta contro i 5 licenziamenti dei deportati ischitani , ai 18
euro per l’assegno perequativo , contro la programmazione di un mese prima dei giorni spettanti della
legge 104 per finire con le 7 vertenze legali contro l’azienda : dalla cessione
alla messa in mora degli stipendi dei lavoratori, delle indennità sui giorni
festivi, delle ticket pasto non erogati
e sull’appropriazione indebita riguardante la cessione di 1/5 dello stipendio
che causa la morosità dei lavoratori verso le finanziarie. Inoltre contiamo
innumerevoli scioperi ed occupazioni in particolare i binari della stazione di
Agnano.
Ma se io ti dicessi che al momento i
lavoratori dinanzi agli innumerevoli attacchi dell’azienda insieme a Banche,Regione
e Provincia sono letteralmente di fronte ad un bivio che indica due strade :
l’una è quella della rassegnazione alla perdita del proprio posto di lavoro ,
l’altra invece è la prospettiva rivoluzionaria di espropriare l’azienda e di porla
sotto il controllo dei lavoratori , iniziando ad esempio a non pagare più il
debito verso le banche, tu quale strada sentiresti più di seguire?
Credo fortemente che
prima di tutto bisogna lottare per svegliare lo stato assopito della coscienza
di classe fra i lavoratori, per poi combattere fermamente che primo l’azienda
non venga privatizzata ma che resti pubblica e secondo che il nostro lavoro di
unione fra lavoratori ed utenza sia volto all’autogestione dell’azienda ed alla
cacciata di tutti i vari affaristi e poltronisti di turno presenti nell’azienda
al fine di sostituirli col la vera
prospettiva : il controllo operaio!
A cura di Giovanni Aprea
Le elezioni del 17 giugno in Grecia
Polarizzazione ed impasse: crescita della Sinistra, vittoria di Pirro per la Destra
La destra di Nuova Democrazia ha riportato, nelle elezioni greche del 17 giugno, una vittoria di Pirro, con un vantaggio molto ristretto rispetto al secondo partito, la riformista Syriza: la Destra ha ottenuto circa il 30% (che non gli permette di formare da sola una maggioranza di governo) e la sinistra riformista circa il 27% (dal 17% del 6 maggio). Questo “successo” estremamente limitato e non incoraggiante della Destra giunge nonostante una gigantesca campagna nazionale ed internazionale di intimidazione del popolo greco ed a favore di Nuova Democrazia, condotta da tutti i media borghesi internazionali e nazionali così come dall’FMI e Lagarde, dalla Germania della Merkel e Shӓuble, da Baroso, Oli Rehn e Commissione UE, da Junker, il presidente dell’Eurogruppo, dallo stesso Obama e dalla sua amministrazione. Sebbene i partiti pro-memorandum (Nuova Democrazia, PASOK, la Sinistra liberaldemocratica) possano formare una coalizione di governo sostenuta da una maggioranza parlamentare (grazie anche all’antidemocratica legge elettorale che da al primo partito un premio di 50 seggi), la maggioranza degli stessi elettori ha votato per i partiti anti-Memorandum.
La svolta a sinistra della classe operaia e delle masse popolari nella loro opposizione alla draconiana austerità imposta dall’odiata troika dell’UE/BCE/FMI, che si era già espressa il 6 maggio, continua ancora proiettando SYRIZA al secondo posto raggiunto dall’Opposizione Ufficiale con, questa volta, una percentuale molto più alta.
La polarizzazione delle forze di sinistra anti-Memorandum si è concentrata intorno a SYRIZA. Lo stalinista KKE che ha condotto una campagna elettorale isterica, chiamando il popolo greco a “correggere i propri errori ed il suo voto del 6 maggio” e facendo di SYRIZA il proprio obiettivo principale, se non esclusivo, è stato abbattuto dai risultati elettorali, perdendo metà dei propri voti e precipitando all’ultima posizione tra i partiti parlamentari, con un pessimo 4.5% (ottenuto solo nel 1994, nel periodo immediatamente successivo al collasso dell’URSS e dopo due scissioni del KKE nel 1989 e nel 1991). Il fronte centrista ANTARSYA è stato letteralmente polverizzato precipitando dall’1.2% del 6 maggio allo 0.3% del 17 giugno!
In quest’ultimo caso, le ragioni sono politiche e non limitate alla pressione della travolgente ondata in direzione di SYRIZA. Durante le discussioni che l’EEK ha avuto con ANTARSYA prima delle elezioni del 17 giugno, esplorando le possibilità di un blocco elettorale, abbiamo insistito su una valutazione obbiettiva della nuova situazione politica dopo il 6 maggio, sulla necessità di evitare tanto una capitolazione opportunistica nei confronti di SYRIZA quanto una cecità settaria verso il processo politico tra le masse che ha portato alla sua ascesa; su tali basi ponemmo solo tre condizioni: abbiamo proposto di includere nel programma due punti cruciali – quello sulla lotta per un governo dei lavoratori, sulla necessità di contrapporre all’UE imperialista la lotta per gli Stati Socialisti Uniti d’Europa – e, terzo, di poter mantenere la nostra identità politica e la nostra indipendenza citando il nostro nome a fianco a quello di ANTARSYA nelle schede elettorali. I leader di ANTARSYA hanno risposto che erano generalmente d’accordo con i punti politico-programmatici ma rifiutavano per “ragioni tecniche e politiche” di apporre il nostro nome nelle schede. Così le trattative sono fallite. Malgrado ciò, l’EEK decise di dare un voto critico ad ANTARSYA, facendo fronte unico con coloro che nelle sue file si opponevano alla capitolazione opportunistica nei confronti di SYRIZA ed accettavano i nostri punti programmatici.
Ma in realtà ANTARSYA ha fatto l’esatto opposto di ciò che avevamo discusso durante le trattative. Sono divisi al loro interno e paralizzati tra forze apertamente pro-SYRIZA e anti-SYRIZA; le forze pro SYRIZA (che hanno fatto naufragare il blocco con l’EEK) non hanno nascosto il loro opportunismo verso i riformisti, e le forze anti-SYRIZA hanno seguito piuttosto una linea settaria, non molto differente da quella dello stalinista KKE. Da un punto di vista programmatico, si dichiaravano per “l’accettazione” dei punti programmatici dell’EEK sul potere dei lavoratori e l’unione socialista dell’Europa in alternativa alla dissoluzione dell’UE: nel materiale elettorale e nei principali comizi, con qualche eccezione individuale in alcuni articoli e discorsi, l’urgenza della lotta per il potere dei lavoratori è stata ignorata mentre la linea dell’uscita dall’UE e dell’abbandono dell’euro, senza l’alternativa degli Stati Socialisti Uniti d’Europa, era indistinguibile da quella del KKE.
L’appello ad una rottura dell’euro e al ritorno ad una dracma (svalutata), all’interno del sistema capitalista, sia nel caso del KKE che di ANTARSYA, si scontra totalmente con la volontà della grande maggioranza del popolo greco, che è ostile all’UE a causa delle sue misure d’austerità che distruggono i propri standard di vita ma ciononostante vede il ritorno ad una dracma svalutata come il culmine dell’attuale catastrofe. Un programma per una soluzione rivoluzionaria socialista alla bancarotta del sistema capitalista e per gli Stati Socialisti Uniti d’Europa non è astratto propagandismo ma un compito urgente che deve essere agitato dall’avanguardia tra le masse in lotta.
L’assenza di tale prospettiva è stata usata dalla classe dominante nella sua campagna d’intimidazione non solo contro il KKE e ANTARSYA ma anche contro la stessa SYRIZA. Tsipras e SYRIZA cercano un compromesso impossibile, il rigetto del Memorandum senza una rottura con l’UE e l’euro, e senza rompere la struttura del sistema capitalista. Le borghesie greca ed europea ed il loro personale politico sostenuti da una violenta campagna dei mass media hanno presentato la possibile vittoria elettorale di SYRIZA e la formazione di un Governo della Sinistra ad Atene come il preludio della famosa “Grexit”, l’automatica espulsione dall’UE e l’uscita dall’euro. A dispetto di ogni protesta di Tsipras e SYRIZA per affermare l’opposto, per affermare la loro fedeltà all’UE e all’euro, il loro conciliazionismo, sempre più marcato nel corso della campagna elettorale, codificato anche nel loro programma elettorale rinnovato, che rispettava il capitalismo, l’euro, l’UE, e persino l’appartenenza alla NATO della Grecia, è stato percepito da sempre più persone perlomeno come una vaga aggiunta esacerbandone la loro insicurezza. Così il fatto che SYRIZA non abbia conquistato la posizione di primo partito alle elezioni di giugno come sperava, non si può spiegare solo con le enormi pressioni che certamente l’imperialismo e la classe dominante greca hanno esercitato. In una situazione di crisi sistemica senza soluzione e di approfondimento della polarizzazione sociale, più un polo politico diviene conciliante e più si indebolisce quando il polo contrapposto diventa più radicale ed estremamente violento nella sua opposizione.
Questa è una lezione politica sfruttata dagli stessi fascisti. La nazista “Alba Dorata” è riuscita a conservare la sua elevata percentuale del 7% non malgrado, ma grazie al suo comportamento estremamente provocatorio dopo il 6 maggio, l’escalation dei suoi pogrom criminali contro gli immigrati, e la dimostrazione di violenza predeterminata da parte di un membro dirigente dei Nazi contro due deputate di sinistra durante la trasmissione della stazione televisiva ANTENNA TV. Naturalmente, tutta questa violenza nazista resta impunita grazie alla protezione della polizia e dei servizi di sicurezza che lavorano insieme in armoniosa cooperazione con questi gangster. I partiti borghesi ed i media li coprono “condannando ugualmente entrambi gli estremisti, di destra e di sinistra”, malgrado la sinistra sia, anzi, estremamente legalista e rispettosa del sistema democratico parlamentare borghese.
La rapida disintegrazione della piccola borghesia, la disoccupazione di massa di una gioventù senza un futuro e dal miserabile presente, lo screditato parlamentarismo, la politica conciliatrice della Sinistra di sistema, e l’assenza di una Sinistra rivoluzionaria antisistema, irreconciliabile, forte, profondamente radicata tra le masse della classe lavoratrice, aiuta i controrivoluzionari a camuffarsi da “antisistema”.
La mobilitazione di simili reparti d’assalto da parte della classe dominante è un chiaro segnale d’allerta che si avvicina in Grecia il momento della verità: lo storico scontro tra rivoluzione sociale e controrivoluzione.
La crisi di potere politico, che è emersa nelle precedenti elezioni di maggio, quando entrambi i partiti borghesi che hanno governato la Grecia dal 1974, Nuova Democrazia e il PASOK, sono collassati e si è manifesta una poderosa ascesa della sinistra con la crescita di SYRIZA al secondo posto, non è stata risolta, benché il vuoto di governo sarà colmato, ora, da una coalizione dei ruderi del vecchio sistema borghese bipartisan più i “volenterosi alleati” di una (non tanto) Sinistra (non tanto) Democratica.
Sarà un governo borghese molto debole ed eterogeneo, nel mezzo di una bancarotta capitalistica generalizzata che si sta ora estendendo a Spagna, Italia, a tutta l’Europa ed internazionalmente. Dovrà affrontare una forte Opposizione Ufficiale di Sinistra, e soprattutto un popolo devastato, che è totalmente ostile all’attuazione del memorandum che è il vero programma su cui è servilmente impegnato il nuovo governo, come Samaras, leader di Nuova Democrazia, ha detto per prima cosa nella sua prima dichiarazione immediatamente dopo la sua “vittoria” elettorale … Non c’è dubbio che cercheranno di attuare tutti i loro impegni con l’UE e l’FMI, cioè nuovi enormi tagli da 11.5 miliardi di euro, nuove privatizzazioni ecc. E lo faranno con la forza, attraverso la repressione statale e parastatale. Un governo debole può essere molto brutale e pericoloso proprio per la sua debolezza e le sue caratteristiche semi-bonapartiste.
Nessuno crede che sarà un governo molto duraturo. La crisi del potere politico ha come sua origine la bancarotta del capitalismo e la crescente incapacità di governare delle classi dominanti. Con o senza un governo borghese, la Grecia resta ingovernabile. I lavoratori ed il movimento popolare devono prepararsi politicamente, programmaticamente, organizzativamente con:
- autorganizzazione delle masse in assemblee popolari;
- Centri di Lotta dei Lavoratori, Squadre Operaie di Difesa contro i fascisti;
- un Fronte Unico che schiacci il Memorandum ed il governo capitalista del Memorandum dei sostenitori della Troika:
- il ripudio del debito, nazionalizzazione delle banche e dei settori chiave dell’economia senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori;
- un Piano di Emergenza di salvataggio del popolo, che solo un governo dei lavoratori ed il potere dei lavoratori possono attuare, alleati con i lavoratori europei che lottano per distruggere l’UE imperialista e costituire gli Stati Socialisti Uniti d’Europa;
Dobbiamo rivolgere questo programma in ogni lotta a tutta la sinistra, compresa la base di SYRIZA, per raggruppare gli elementi più combattivi della classe operaia e della gioventù.
Questa è la linea generale per i militanti dell’EEK, e dell’intera avanguardia rivoluzionaria.
Ufficio Politico EEK (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori)
Sezione Greca del Coordinamento della Rifondazione della Quarta Internazionale
Traduzione a cura della sezione Pcl Sassari
Le prossime elezioni del 17 giugno in Grecia
Poco meno di due settimane ci separano dalle nuove cruciali elezioni parlamentari in Grecia, il 17 giugno, e la polarizzazione, i timori e le speranze dominano il clima politico. Le forze a confronto sono polarizzate principalmente sulla questione del “chi e se” prevarrà la Destra guidata da Samaras o la sinistra riformista di Syriza condotta da Tsipras e sarà in grado di formare un nuovo governo per far fronte alla bancarotta del paese.
Nelle recenti elezioni del 6 maggio, la furia popolare e il massiccio rifiuto del “memorandum” di draconiane misure d’austerità concordato dai precedenti governi e dai principali partiti borghesi ha fatto esplodere il vecchio sistema politico borghese bipartisan che ha dominato la Grecia degli ultimi 38 anni, dopo il collasso della dittatura militare. Le masse si sono orientate decisamente a sinistra, soprattutto a sostegno di Syriza e del suo programma di ripudio del Memorandum e di formazione di un governo della Sinistra. Tutti gli sforzi e le pressioni dell’UE, dell’FMI, e dei centri locali del potere politico ed economico per formare un governo “di unità nazionale d’emergenza”, che includesse Syriza, sono falliti, e sono state convocate nuove elezioni per colmare il pericoloso vuoto nella struttura di potere. La resistenza di massa al programma UE/FMI di cannibalismo sociale ha trasformato la Grecia in un paese ingovernabile. Nessuno crede seriamente, qualsiasi sia il risultato del 17 giugno, che la crisi del potere politico, specialmente quando l’intera euro-zona sta precipitando nell’abisso trascinata dalla Spagna, sarà risolta; piuttosto si aggraverà.
Samaras, il leader del partito di destra Nuova Democrazia, ha formato in fretta un “Fronte della destra europeista” estremamente eterogeneo chiamando sotto le sue bandiere estremisti neoliberisti, come il suo tradizionale rivale politico Dora Bakoyanni, liberali di centro destra e fascisti dichiarati ex militanti del LAOS, utilizzando una vecchia retorica anticomunista da Guerra Fredda per “salvare la patria da una “conquista comunista” da parte di…Tsipras! Il partito apertamente neonazista “Alba Dorata”, che ha avuto una spettacolare crescita elettorale al 7% in maggio, parla della “minaccia del trotskysmo” e dei “trotskysti che agiscono dietro Tsipras”!!
A questo ridicolo ma pericoloso circo anticomunista e anti-Syriza si è aggiunto il… Partito Comunista di Grecia (KKE), che ha fatto di Syriza il principale, se non l’unico, obbiettivo nella sua campagna elettorale. Non c’è da sorprendersi quindi che nei sondaggi il KKE stia sempre più perdendo il proprio consenso da quasi l’8% delle elezioni di maggio a circa il 4-5% di adesso.
Al contrario, nello stesso periodo, Syriza è balzata dal 17% delle elezioni del 6 maggio al 30% degli attuali sondaggi, contendendo alla Destra spaventata il primo posto e la possibilità di costituire un governo. Ma anche in questo caso, la formazione di una maggioranza di governo della sinistra non è così facile. Il KKE ha già brutalmente respinto ogni idea di entrare a far parte di un governo di coalizione dei partiti della Sinistra. Sinistra Democratica è più una formazione di centrosinistra che un raggruppamento della sinistra riformista e chiede la partecipazione a questo governo di ciò che resta del totalmente discreditato neoliberista PASOK, se non della stessa Nuova Democrazia di destra. La centrista ANTARSYA non può svolgere alcun ruolo; non ha alcuna speranza di entrare in Parlamento, poiché i sondaggi rilevano che è regredita dall’1,2% dello scorso maggio ad un magro 0,5 % oggi.
La tendenza principale si sta orientando a sinistra verso un voto a Syriza. Siccome le elezioni e la possibilità di assumere incarichi di governo si avvicinano, Syriza diviene sempre più conservatrice cercando di placare sia l’UE che la borghesia greca.
Il suo rinnovato programma, presentato il primo giugno continua a chiedere un impossibile compromesso tra un rifiuto del Memorandum e le esigenze dell’ UE, dell’euro, e dell’FMI, mantenendo intatte la partecipazione all’UE e le basi sociali capitalistiche della Grecia.
Ancora, rispetto all’insostenibile debito sovrano, Syriza chiede una moratoria dei pagamenti, una loro rinegoziazione, e un’Inchiesta Internazionale per un Audit del debito che valuti “la sua parte illegittima”, seguendo l’esempio di Correa in Ecuador.
Sulla questione della banche, Syriza non ha mai chiesto la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto contro dei lavoratori; chiede solamente un “controllo pubblico”, cioè una parziale “nazionalizzazione” della banche greche ricapitalizzate dall’EFSF, sulla linea dello schema di Cristina Kirchner per la YPF in Argentina.
Inoltre, il programma si spinge ancora più a destra. Presenta una versione molto modesta anche delle rivendicazioni immediate. Ad esempio, chiede il ristabilimento del vecchio salario minimo di circa 700 euro mentre per una vita minimamente decente è necessario il doppio. In relazione all’apparato repressivo dello Stato, la polizia e l’Esercito ha timidamente avanzato una vaga proposta di “democratizzazione”. La visita ufficiale di Tsipras ai Generali nel Quartier generale dello Stato Maggiore dell’Esercito, della Marina e dell’Aereonautica ha ricordato a molte persone (compreso alla stazione radio di Syriza) la visita di Salvador Allende (eroe di Tsipras) a Pinochet prima del golpe in Cile.
Malgrado tutto ciò, una sorta di “Tsipromania” ( la definizione è di un sostenitore di Syriza) domina sia i mass media borghesi internazionali che tutte le sfumature della sinistra democraticista internazionale. I mass media imperialisti presentano Tsipras come il “fantasma del comunismo” che ritorna sull’Europa; la democraticista sinistra riformista e/o centrista lo considera come l’ultima reincarnazione della Speranza di Emancipazione. Gli scorsi giorni sono giunti ad Atene come pellegrini a La Mecca di Syriza, per sostenerla pubblicamente ed entusiasticamente, una serie di ben note figure dell’intellighenzia di sinistra internazionale come Slavoi Zizek (ha parlato insieme a Tsipras ad un grande raduno elettorale pubblico), Leo Panitch, e Tariq Ali (ha parlato ad un incontro pubblico in centro organizzato da NAR e ANTARSYA per invitare l’uditorio a votare… per Syriza, non ANTARSYA; ha ricevuto fragorosi applausi da metà del pubblico presente all’incontro mentre l’altra metà era atterrita!)
Il nostro partito, l’EEK, combatte sia l’adattamento opportunista che la cecità settaria nei confronti di Syriza. Noi teniamo un constante rapporto, alcune azioni comuni e un dialogo principalmente con la base e le persone che si volgono a Syriza. Lottiamo per sconfiggere la Destra; ci opponiamo alla caccia alle streghe anticomunista e alla campagna diffamatoria degli stalinisti contro Syriza, mentre continuiamo a criticare il suo programma, il suo attaccamento all’UE imperialista ed al sistema capitalista, ed il contenuto borghese di quella sorta di “fronte popolare” collaborazionista di classe avanzata dai riformisti. Noi contrapponiamo il nostro programma di un’uscita socialista rivoluzionaria dalla crisi (ripudio di tutto il debito, nazionalizzazione della banche e dei settori strategici dell’economia, senza indennizzi e sotto il controllo dei lavoratori, riorganizzazione dell’economia su nuove basi in accordo ai bisogni sociali, squadre di difesa dei lavoratori contro i fascisti, rottura dell’apparato repressivo dello Stato borghese, potere operaio e governo dei lavoratori, rottura dell’UE e lotta comune con i lavoratori dell’Europa per un unificazione socialista del Vecchio Continente ecc.) chiarendo che un vero governo della sinistra potrebbe e dovrebbe essere solo un governo dei lavoratori.
L’EEK voleva lottare per questo programma anche in queste elezioni. Ma l’antidemocratico sistema delle classe dominante impone enormi ostacoli finanziari che divengono talvolta insostenibili: dopo la campagna per le elezioni del 6 maggio, avremmo, di nuovo, dovuto raccogliere in tempi molto brevi, circa 60 mila euro per le elezioni del 17 giugno – una somma enorme per un piccolo Partito della classe operaia senza risorse materiali e la cui maggioranza dei membri sono giovani disoccupati. Malgrado gli sforzi ed il sacrificio dei nostri compagni non potremo raccogliere quel denaro prima della scadenza. Così, l’EEK, non potendo, non presenterà proprie liste indipendenti alle prossime elezioni.
Mentre conducevamo la battaglia per raccogliere le risorse necessarie ad una partecipazione indipendente, abbiamo accettato l’invito fatto da ANTARSYA a valutare le possibilità di un comune blocco elettorale. Nelle nostre discussioni bilaterali, abbiamo proposto di includere nel programma comune due punti programmatici, estremamente essenziali per l’EEK: la necessità della lotta per il potere dei lavoratori e per un governo operaio della sinistra, non per uno frontista popolare borghese; e la necessità di combattere il nazionalismo e l’isolazionismo nazionale combinando la rivendicazione della rottura con l’UE imperialista con l’appello per gli Stati Socialisti Uniti d’Europa. Insieme a questi punti, chiedevamo che il nome del nostro Partito, EEK fosse aggiunto chiaramente dopo il nome ANTARSYA, per chiarire che si tratta di una collaborazione elettorale, non di una fusione con una colazione da cui ci separano importanti questioni programmatiche. Alla fine ANTARSYA ha affermato che se poteva essere d’accordo con i punti programmatici, era fuori questione inserire indipendentemente il nome del nostro partito nelle schede elettorali. Dovevamo semplicemente essere inclusi in ANTARSYA pur non facendone parte! L’ultimatum è stato respinto e la discussione è fallita.
In realtà, ANTARSYA era ed è nel pieno di una crisi esplosiva: due delle sue organizzazione provenienti dalla tradizione della sinistra eurocomunista e una parte del NAR guardano ad un accordo, addirittura ad una fusione con Syriza; le principali forze del Nar più l’SWP di Tony Cliff sono contrarie a Syriza. Le forze pro-Syriza hanno boicottato ogni accordo con l’EEK e gli altri si sono adattati a loro. In realtà, non sono mai stati d’accordo con i due punti programmatici principali presentati dall’EEK (potere dei lavoratori, Stati Socialisti Uniti d’Europa) come il loro materiale elettorale per le elezioni del 17 giugno chiaramente dimostra. Probabilmente, un serio rovescio del loro voto il 17 giugno sarà devastante per questa coalizione centrista che è così aperta all’elettoralismo – ma anche allo stalinista KKE.
L’EEK, in questo periodo, intraprende la propria campagna per il “giorno dopo” connessa alle elezioni di giugno. La prossima settimana il Comitato Centrale dell’EEK in una riunione speciale renderà pubblico il proprio manifesto sulla situazione complessiva, specificando anche la propria tattica rispetto al voto nelle prossime elezioni.
Savas Michael-Matsas
(nella foto sulla destra)
Segretario EEK
(Partito Rivoluzionario dei Lavoratori)
Sezione Greca del Coordinamento
della Quarta Internazionale
3 giugno 2012
Traduzione a cura della sezione Pcl di Sassari
[Dossier] Fincantieri ed il business dell’offshore.
L’ultimo accordo
siglato da Fincantieri con una società specializzata
nello sviluppo di costruzioni
per il mercato delle perforazioni offshore, la
Nli, rivela sempre più le
ambizioni espansionistiche, da parte del
capitalismo italiano, in nuove frontiere capaci di incrementare e
consolidare posizioni e profitti.
Quest’ apertura,
riguardante il mercato redditizio dell’offshore (le grandi
piattaforme
oceaniche che estraggono idrocarburi), dimostra l’indice
della crisi che
attraversa la “classica” cantieristica navale. Essa, da un
bel po’ a questa
parte in Italia, sopravvive soprattutto di commesse per
gli armatori militari e
per la crocieristica di lusso.
La storia di questi
ultimi decenni ci racconta come i cantieri europei
hanno ben capito che la
concorrenza con i grandi colossi asiatici fosse
pressoché insostenibile nel settore delle cosiddette “carrette del mare”
(petroliere,rinfusiere, portaconteiner), visto che questi ultimi possono
contare su una manodopera largamente sfruttata
e sottopagata. Per
questo motivo dagli anni Duemila, tutti gli interessi si
sono concentrati in
settori molto più redditizi, uno dei quali è stato la
crocieristica di lusso,
dove Fincantieri ancora vanta una grossa fetta nel
mercato europeo col
gruppo Carnival (brand P&O Cruises e brand Costa Crociere) e col
gruppo Du Ponant.
Questo settore oggi
vive i postumi della crisi globale, perlopiù aggravata
dai vari incidenti di
Costa Crociere nel mondo, in particolare il naufragio
della Costa Concordia presso
l’Isola del Giglio; si contano già
dimezzamenti degli stessi ordinativi
rispetto ai tempi d’oro ed un quasi
azzeramento dei volumi per il settore
traghetti. In merito sono eloquenti
le constatazioni dello stesso a.d. Giuseppe
Bono di Fincantieri quando
affermava mesi fa: «Ancora oggi non abbiamo sicurezze sul nostro
futuro. Quello che ci
serve è una nuova “gamba” per competere con i
grandi colossi mondiali con cui
ci dobbiamo confrontare. Una nuova
gamba oltre a militare, crociere, megayacht.
Recentemente abbiamo
perso un ordine per una nave da crociera andata a
Mitsubishi. La
nostra era l’offerta migliore tra i cantieri europei, ma loro ci
hanno
sopravanzato con una proposta economicamente più vantaggiosa del
30%.
Mitsubishi è un colosso, ma in futuro ci dovremo confrontare con
altri big come
Hyundai, Samsung»*
Il riscatto della
borghesia italiana non si è fatto attendere, lo scorso
Aprile sono stati battuti
i franco-coreani di Stx-France nell’acquisizione
di due navi (più un’opzione
sulla terza) per Viking Ocean Cruises,
riguardante il segmento del mercato extra-lusso di piccole
dimensioni.
Un valore della commessa stimato intorno i 300 milioni di euro per
ogni
nave conseguita nel rispetto degli ordini: la prima fine 2014 e la seconda
fine 2015**.
Ovviamente queste
commesse porteranno lavoro soltanto agli
stabilimenti specializzati in questo
settore della crocieristica di lusso che
attualmente vedono in ballo 3 papabili
cantieri a secco di commesse:
Sestri, Ancona e Marghera, gli altri staranno
molto probabilmente a
guardare non avendo esperienza in tal campo.
Del resto la nuova
“gamba”,profetizzata da Bono, passerebbe attraverso
acquisizioni di nuove
partnership internazionali nelle frontiere
dell’offshore,unico settore a non
aver risentito i colpi della crisi. Non a
caso, Fincantieri sta trattando per l’acquisizione di Stx Osv,società con
sede
in Norvegia ed appartenente al gruppo coreano Stx, specializzata
nel settore
delle navi a supporto delle piattaforme petrolifere e dismessa
dalla casa madre
per motivi di forte esposizione dell’indebitamento
interno; questo gioiello
europeo, messo in vendita per un valore di 800
milioni di euro, lo scorso anno
ha ottenuto ordini per 1,9 miliardi di
dollari disponendo,inoltre, di un portafoglio completo che vale 2,8
miliardi,
con consegne previste fino al 2016 in un settore dell’offshore,
che a dire
degli esperti, nei prossimi cinque anni dovrebbe garantire 232
miliardi dollari
di investimenti da parte delle grandi compagnie
multinazionali che si occupano
di esplorazione dei fondali ed estrazione
del petrolio.
L’offerta
presentata da Fincantieri ,insieme ad
uno dei più grandi fondi
di private equity (Carlyle),dotato di grandi
disponibilità liquide e da cui
Fincantieri dipenderebbe per le linee del
credito, è stata supervisionata
dalle consulenze di grandi istituti finanziari internazionali
come: Jp
Morgan, Standard Chartered, Nomura e Credit Swisse.
Tutto lascerebbe
presagire come l’evoluzione delle dinamiche interne
siano fortemente a rischio
per i lavoratori Fincantieri e per coloro che
vivono nell’indotto. La certezza
della chiusura di vari stabilimenti, dettati
dall’accordo di Dicembre 2011
firmato da parti istituzionali/ azienda e
sindacati confederali (Cisl, Uil,
Failms, Ugl) ed a fronte degli
insormontabili costi in piani di
ristrutturazione (esempio il Protocollo di
Intesa per Castellammare di
Stabia),vede Fincantieri centrare le sue
attività all’estero stipulando nuove
partnership internazionali: con gli
Stati Uniti, 715
milioni di euro per il progetto militare U.S. Navy LCS
(Litoral Combat Schips) e
250 unità per la Guardia Costiera
statunitense
per un’ ammontare che si aggira intorno ai 600 milioni di euro,
con gli
Emirati Arabi Uniti, realizzazione
per la Marina emiratina di tre unità:
una corvetta classe «Abu Dhabi» e due
pattugliatori;
con l’Algeria e la Repubblica Dominicana, per quanto riguarda
commesse minori.
Ripetiamo, il processo di internazionalizzazione
avviato da tempo dalla
stessa Fincantieri è volto a garantire il futuro, non
dei suoi lavoratori (a
loro tocca il destino degli esuberi e della mobilità),ma
del capitalismo
italiano che sta fortemente spingendo in questa direzione.
In conclusione,
facciamo notare a tutti quei onesti lavoratori che
attualmente subiscono la cassa integrazione che
Fincantieri ha concluso
il 2011 con ricavi per 2,4 miliardi di euro, con una
solida struttura
patrimoniale e finanziaria che supera il miliardo di euro e
con un utile
netto di 227 milioni di euro. Inoltre, notizia di questi giorni, i
vertici
aziendali non escludono un futuro ingresso per una quotazione in
Borsa***,
ovviamente finalizzata all’accumulazione ed alla speculazione
sui mercati
finanziari, dove vige sempre la parola d’ordine del capitale:
“profitto”.
* fonte:Il Secolo XIX 1 Aprile 2012
**Il Sole 24 Ore 20 Aprile 2012
***Il raffreddamento dell’operazione per la quotazione in
Borsa di Fincantieri fu dovuta sostanzialmente sia alla cattiva congiuntura
economica e sia alla forte ostilità dei
sindacati nel biennio 2006/2008. Ma, in questi giorni, dell’a.d. Bono è ritornato alla carica sull’argomento
dichiarando: «bisogna ricreare le condizioni, e noi in un futuro - speriamo
anche prossimo - una volta realizzate alcune iniziative su cui stiamo lavorando,
pensiamo che la strada sia quella» (fonte: Il Secolo XIX.)
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