giovedì 30 agosto 2012

Dalla Carbonsulcis esploda la lotta dura


Dalla Carbonsulcis esploda la lotta dura

L’esempio della lotta dura, adottata in questi giorni dai minatori della Carbonsulcis, deve essere raccolta ed estesa velocemente  a tutta la classe lavoratrice che da anni sta pagando a caro prezzo il costo di una crisi generata dal fallimento delle politiche portate avanti dai precedenti governi Prodi (centrosinistra), Berlusconi (centrodestra) e dall’attuale governo Monti\Napolitano (con l’appoggio bipartisan di Pd,Pdl ,Udc,Fli) che favorisce le grandi rendite dell’alta industria e dell’elite bancaria.

L’esasperazione dei minatori, dovuta da tempo alla mancanza di prospettive ed al destino di chiusura per lo storico sito minerario di Nuraxi Figus (Carbonia-Iglesias), ha scatenato, giustamente, l’occupazione della loro miniera a circa 400 mt di profondità. Se il governo continuerà a non garantire nessun futuro ai lavoratori,visto che l’Enel non ha alcun interesse per progetti di riconversione ecosostenibile, quest’ultimi saranno disposti a tutto, se è necessario anche ad utilizzare il tritolo, pur di non perdere il proprio posto di lavoro.

Dopo queste forti dichiarazioni, gli sciacalli politici (centrodestra e centrosinistra) e sindacali si sono apprestati a difendere ipocritamente i lavoratori della Carbonsulcis, ovviamente adottando la classica consuetudine dei tavoli concertativi, dove essi possono dar l’illusione di aver strappato grandi risultati, quando alla fine beffardamente tutto rimarrà invariato. Del resto poi  le colpe di questo disastro economico sono da imputare a questi rappresentanti della borghesia che da sempre hanno affossato i salari e i diritti di tutta la classe lavoratrice che si sente disorientata dinanzi agli attacchi della classe padronale.

Per questo motivo, come Partito Comunista dei Lavoratori, appoggiamo fortemente la coraggiosa e forte scelta dei minatori della Carbonsulcis di aver occupato la miniera ad oltranza. Questo pero è sempre e solo un primo passo importante, perche non vogliamo far dimenticare agli stessi lavoratori che la crisi attuale non concede alcuno spazio di trattativa (vedi le parole di Monti in merito) o di eventuali concessioni, visto che le manovre economiche in atto devono ripagare e tutelare le enormi perdite che grandi istituti di credito e grandi industrie stanno subendo per loro mano.

Quindi la richiesta di migliori condizioni oggettive va, in tutti i casi, accumunata alla logica della formazione di un fronte unitario di tutte le vertenze in crisi, capace quest’ultimo di rinsaldare i rapporti solidaristici fra gli stessi lavoratori nella prospettiva di lottare lo stesso nemico che si annida prepotentemente sulle loro teste.

Pertanto bisogna legare la memoria alla pratica degli strumenti reali di difesa (scioperi,espropri,comitati di fabbrica,comizi ect) che la storia del movimento operaio internazionale ricordi: ossia quando si doveva lottare contro la classe dei padroni per la difesa dagli attacchi sferrati dal capitale , ma anche quando, in determiante fasi, si maturava la reale prospettiva di cambiamento rivoluzionario  e di costruzione di una nuova  società che possa definitivamente  distruggere le vecchie disuguaglianze e le ingiustizie sistematicamente perpetrate dalla borghesia; di conseguenza esse possono essere portate a termine soltanto da un vero Governo dei lavoratori , che come ci prospettiamo, saprà certamente adempiere a questo dovere storico.

Ps
Esprimiamo tutta la nostra vicinanza e  la nostra solidarietà al lavoratore  Stefano Meletti ed a tutti i suoi compagni di lotta. 

martedì 21 agosto 2012

L’arcobaleno sudafricano si macchia del sangue dei minatori!


L’arcobaleno sudafricano si macchia del sangue dei minatori!


Il  feroce massacro compiuto a Marikana ai danni dei minatori sudafricani testimonia la realtà reazionaria dei governi “progressisti” di centro sinistra, che come quello sudafricano dell’ African National Congress di Jacob Zuma, registrano un bilancio spaventoso nella giornata di Giovedì 16 Agosto con la morte di 34 minatori (e il ferimento di altri 74).

Tutto è iniziato il 10 Agosto con la più classica delle rivendicazioni operaie: i minatori reclamavano aumenti salariali per lottare contro quella fame che da anni dilaga negli slum. La multinazionale inglese Lonmin, proprietaria di ingenti miniere di platino (specialmente in Sudafrica dove si concentra l’80% della produzione globale), ha risposto negativamente alle richieste dei minatori, visto che tale politica mal si combinava con gli utili dei capitalisti della stessa multinazionale. Dopodiché i minatori sudafricani hanno fatto valere la loro voce: intaccando il “sacro” sistema produttivo del capitale hanno proclamato lo sciopero ad oltranza fino all’ottenimento di migliori condizioni oggettive.

La controparte padronale, in combutta con le forze reazionarie poliziesche del governo di Zuma, ha dato la prova lampante della difesa incondizionata dei profitti della classe borghese sterminando gli stessi lavoratori dopo aver svergognatamente accusato gli stessi di aver scioperato contro le leggi dello Stato (e del capitale) e soprattutto dopo aver costruito una campagna diffamatoria contro i “cattivi” lavoratori “armati” di lance e machete (con tanto di congratulazioni ai vertici della polizia per il buon operato espresso dalle forze dell’ordine).
Tutto questo è inacettabile! Bisogna condannare tutti i colpevoli di questo eccidio, a partire dai sicari ed i piani alti della polizia, passando per i collusi rappresentanti del governo dell’Anc (Zuma in primis), per arrivare alla Lonmin, la quale va espropriata senza alcun indennizzo ai padroni assassini e posta sotto il controllo dei lavoratori. 

Il movimento operaio internazionale non può e non deve dimenticare il sacrificio delle decine di lavoratori che hanno perso la vita e di tutti i loro compagni che in questi giorni stanno dando grande prova di coraggio nel condurre una dura lotta contro i loro sfruttatori. Bisogna lottare insieme ai minatori sudafricani, bisogna unire e saldare i rapporti solidaristici dei lavoratori di tutto il mondo riunendoli intorno al partito mondiale della classe operaia (la futura rifondata IV Internazionale), il solo che può realmente rovesciare il sistema capitalistico con tutte le forze ed i mezzi necessari atti ad eliminare gli oppressori borghesi e la loro ferocia.


A 72 anni dall'assassinio del rivoluzionario Lev Trotsky

A 72 anni dall'assassinio di Lev Trotsky, per mano dei vili sicari di Joseph Stalin, vogliamo ricordare una delle figure storiche del marxismo rivoluzionario  che, come tanti , ha pagato con la vita la sua difesa incondizionata agli ideali rivoluzionari ed alla necessità della lotta contro lo stalinismo, cancrena di un regime burocratico dispotico ed oppressore delle masse sovietiche. Trotsky fu uno dei principali artefici  sia della prima rivoluzione del 1905, rivestendo la carica di Presidente del Soviet di Pietroburgo, e sia  della presa del Palazzo d'Inverno nell'Ottobre del 1917, ponendosi sotto istruzione di Lenin a capo della grandiosa Armata Rossa che sconfiggerà l'esercito bianco delle potenze imperialiste. La rivoluzione d'Ottobre stabilì le basi (successivamente tradite dalla burocrazia stalinista) per l'edificazione di una società socialista. Insieme a Lenin, Trotsky  può essere considerato una delle figure chiavi del marxismo contemporaneo; il tempo non ha mai invecchiato i suoi preziosi insegnamenti  che il nostro partito quotidianamente trasmette a tutti i futuri militanti dediti alla causa rivoluzionaria, facendo capire loro la necessità dei compiti storici delle masse lavoratrici sfruttate che forza di cose debbano portare al rovesciamento del sistema capitalistico ed il successivo passo verso il raggiungimento e l'edificazione di una vera società comunista, quest'ultimo sistema, infatti, creerà le condizioni storiche nelle quali le masse lavoratrici acquisiranno una personalità, una dignità, una cultura, per le quali diventeranno spirito creatore di progresso e di bellezza, spezzando definitivamente le catene dell'odio e delle disuguaglianze  fra gli uomini.

Ricordiamo il celebre rivoluzionario con il suo testamento scritto nel Febbraio del 1940:


"La mia pressione alta (e in continuo aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute. Sono attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina.
Queste righe saranno rese pubbliche dopo la mia morte. Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v' è una macchia sul mio onore rivoluzionario. Né direttamente né indirettamente non sono mai sceso ad accordi, o anche solo a trattative dietro le quinte, coi nemici della classe operaia. Migliaia d'oppositori di Stalin sono cadute vittime d'accuse analoghe, e non meno false.
Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l'onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.
Ringrazio con tutto il cuore, gli amici che mi sono stati fedeli nei momenti più difficili della mia vita. Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un'eccezione per la mia compagna, Natalja Ivanova Sedova. Oltre alla felicità di essere una combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d'essere suo marito. Durante i circa quarant'anni di vita comune, ella è rimasta per me una sorgente inesauribile d'amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell'ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.
Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell'errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico, e quindi da ateo inconciliabile.
La mia fede nell'avvenire comunista del genere umano non è meno ardente, anzi è ancora più salda, che nei giorni della mia giovinezza.
Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile, e l'ha aperta in modo che l'aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell'erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al disopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore."


giovedì 16 agosto 2012

EINAUDI O DELL'UTOPIA LIBERALE

Ad un mese di distanza dal nostro scritto "Al filo montiano Scalfari: giù le mani da Gramsci!" (che potete trovare nello stesso sito), proponiamo ai nostri lettori un interessante articolo dello stesso Gramsci, scritto nel 25 Maggio 1919 dalle colonne dell'Avanti!, in polemica con il padre del liberalismo italiano Luigi Einaudi. Tutto questo è volto a smascherare ulteriormente i vili epigoni del riformismo che, come nel caso eclatante del filo-montiano Eugenio Scalfari, cercano di conciliare l'inconciliabile: ossia gli interessi della classe dominante dei padroni con gli interessi della classe lavoratrice dominata.


EINAUDI O DELL'UTOPIA LIBERALE

Nella Nuova Rivista Storica Umberto Ricci ha proposto che fossero raccolti in volume gli innumerevoli articoli coi quali il prof. Luigi Einaudi ha, durante un ventennio, erudito il popolo italiano, dalle colonne della Stampa e del Corriere della Sera, sui problemi della nostra vita economica nazionale. Ci associamo alla proposta del Ricci e la integriamo: la direzione del Partito faccia compilare un'epitome del volume e la diffonda; sarà un efficace contributo alla propaganda comunista, un documento di prim'ordine dell'utopia liberale.

Einaudi rimarrà nella storia economica come uno degli scrittori che piú hanno lavorato a edificare sulla sabbia. Serio come un bambino che s'interessa al gioco, ha tessuto un'infinita tela di Penelope che la crudele realtà gli ha quotidianamente disfatto. Costante ed imperterrito ha sempre continuato a distendere i suoi articoli sobri, saggi, pazienti per spiegare, per rischiarare, per incitare la classe dirigente italiana, i capitalisti italiani, industriali ed agrari, a seguire i loro veri interessi. Miracolo strano e stupefacente: i capitalisti non vollero mai saperne dei veri interessi, continuarono per la loro scorciatoia melmosa e spinosa, invece di saldamente [tenersi sulla strada] maestra della libertà commerciale totalmente applicata. E gli scritti dell'Einaudi ne diventano un eterno rimpianto, un gemito sommesso che strazia le viscere: ah! se avessero fatto questo, ah! se il Parlamento..., ah! se gli industriali!... Ah! se gli operai..., ah, se i contadini..., ha! se la scuola..., ah! se i giornali..., ah! se i giovani!... Da vent'anni è la stessa elegia che risuona dall'Alpi al Lilibeo; e gli uomini non hanno cambiato, e la vita economica non ha spostato il suo asse che impercettibilmente, e la corruzione, l'imbroglio, l'illusione demagogica, il ricatto, la truffa parlamentare, l'anchilosi burocratica sono rimaste le supreme idee conduttrici dell'attività economica nazionale.

Einaudi è antimarxista implacabile; non riconosce al Marx merito alcuno; recentemente gli ha negato persino, in polemica con Benedetto Croce, il merito affatto esteriore di aver dato impulso alle ricerche economiche nello studio della storia. Per Einaudi, Marx non è uno scienziato, non è uno studioso che proceda sistematicamente dal riconoscimento della realtà effettuale economica; è un giocoliere della fantasia, un acrobata del dilettantismo. Le sue tesi sono arbitrarie, le sue dimostrazioni sono sofistiche, la sua documentazione è parziale.

Eppure, il reale sviluppo della storia dà ragione a Marx; le tesi marxiane si attuano rigidamente, mentre la scienza di Einaudi va in pezzi e il mondo liberale si disfà, in Inghilterra con maggior schiamazzo che altrove. La verità è che la scienza economica liberale ha solo la parvenza della serietà, e il suo rigore sperimentale non è che una superficiale illusione. Studia i «fatti» e trascura gli «uomini»; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla realtà dell'economia che è concepita avulsa dal processo storico generale della civiltà. La produzione e lo scambio delle merci vi diventano fine a se stessi; si svolgono in un meccanismo di cifre rigide e autonome, che può venir «turbato» dagli uomini, ma non ne è determinato e vivificato. Questa scienza è, insomma, uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e matematica, che non ha mai avuto, non ha e non avrà mai riscontro alcuno nella realtà storica. I suoi addetti hanno tutta la mentalità dei sacerdoti: sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso mondo.

Accusano Marx di astrattismo perché le sue teorie del plusvalore evadono dal dominio del rigore scientifico. Rigore scientifico significa formulario della dottrina scientifica. Marx stabilisce un paragone tra l'economia capitalistica e il comunismo: un paragone, che è arbitrario, perché il comunismo è un'ipotesi vana senza soggetto. Ma tutta l'economia liberale non è un paragone tra la realtà antiscientifica e uno schema dottrinario? Dove esiste la perfetta società liberale? Quando si è realizzata nella storia del genere umano? E se non si è realizzata, non significa che è irrealizzabile, che riveste i caratteri rivelatori dell'utopia? Ma essa verrà, dicono i sacerdoti. Lavoriamo, siamo pazienti, non turbiamoci: le forze del male saranno sgominate, la verità rifulgerà agli uomini illusi e pervertiti. Intanto la guerra ha distrutto tutte le conquiste dell'ideologia liberale. La libertà, economica e politica, è scomparsa nella vita interna degli Stati e nei rapporti internazionali. Lo Stato è apparso nella sua funzione essenziale di distributore di ricchezza ai privati capitalisti; la concorrenza politica per il potere è soppressa con l'abolizione dei parlamenti. La burocrazia si è estesa, diventando piú greve e impacciante. Il militarismo, improduttivo secondo l'economia liberale, è diventato il mezzo piú potente di accumulare e conservare il profitto, col saccheggio delle economie estere e il terrore bianco all'interno. Il monopolio si è rafforzato in tutte le attività, assoggettando tutto il mondo agli interessi egoistici di pochi capitalisti anglosassoni.

Gli schemi del liberalismo sono disfatti: le tesi marxiane si attuano. Il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione. La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura, sono inerenti al disordine, allo scatenamento di brutali passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive. Non possono essere abolite, senza abolire la struttura che la genera. Le prediche, gli stimoli, le moralità, i ragionamenti, la scienza, i «se...» sono inutili e ridicoli. La proprietà privata capitalistica dissolve ogni rapporto d'interesse generale, rende cieche e torbide le coscienze. Il lucro singolo finisce sempre col trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo. Queste alee, questo correr sempre l'avventura, potrà soddisfare i dilettanti della vita e chi può mettersi in salvo coi suoi; ma la grande massa ne diventa schiava, e si organizza per liberarsi, per conquistare il potere di rendere sicura la vita e la civiltà, di vedere l'avvenire, di lavorare e produrre per il benessere e la felicità e non per l'avventura e la perversione. Ecco perché lo sviluppo del capitalismo, culminato nella distruzione della guerra, ha determinato il costituirsi delle immense organizzazioni proletarie, unite da uno stesso pensiero, da una stessa fede, da una stessa volontà; il comunismo, istaurato attraverso lo Stato dei Consigli operai e contadini, che è l'umanismo integrale, come lo concepì Carlo Marx, che trionfa di tutti gli schemi astratti e giacobini dell'utopia liberale.

Antonio Gramsci - 25 Maggio 1919 ed. piemontese Avanti!







mercoledì 8 agosto 2012

ILVA: UNA VITTORIA DELL'OPERAIO O DEL PADRONE? LA SOLUZIONE ANTICAPITALISTICA, UNICA VERA SOLUZIONE

ILVA: UNA VITTORIA DELL'OPERAIO O DEL PADRONE?
LA SOLUZIONE ANTICAPITALISTICA, UNICA VERA SOLUZIONE



Colpisce non tanto il diffuso plauso che si respira a sinistra verso la sentenza sull'Ilva, ma l'atteggiamento subalterno verso la proprietà che l'intera vicenda rivela. Lo dico non dal versante di un ambientalismo ideologico indifferente al lavoro ( “sussidi” al posto della fabbrica). Ma proprio dal versante delle ragioni dei lavoratori, del loro posto di lavoro e della loro salute. Che sono un riferimento centrale per la stessa battaglia ambientalista. 
  
A me pare che la sentenza del tribunale del Riesame non tuteli né il lavoro, né la salute. Tutela clamorosamente gli interessi della proprietà: dietro la foglia di fico di innocue raccomandazioni ambientali e col patrocinio di un governo Monti infarcito di “amici” dell'azienda. 
  
Guardiamo in faccia la realtà. Nel '95 lo Stato regala Italsider al “rottamaio” Riva a prezzi stracciati. Diciotto anni dopo lo Stato socializza i costi dei crimini del padrone, mettendo la miseria di 300 milioni di denaro pubblico ( ossia dei contribuenti) nella cosiddetta “bonifica”. Il padrone Riva non mette un euro. I 90 milioni di investimento “ecologico” nell'area Ilva che l'ex prefetto Ferrante sbandiera, se mai fossero veri, riguardano il passato. Ed evidentemente sono stati senza effetto. Sul futuro la proprietà  si tiene le mani libere. Continua a battere cassa per ottenere altri soldi pubblici.  Si riserva di scaricare sui lavoratori eventuali spese aziendali per la “messa a norma degli impianti” dichiarando in quel caso una “possibile riduzione della produzione con possibili effetti sul personale” ( Ferrante su Sole 24 ore dell'8/8). Infine lo stesso Ferrante figura, in rappresentanza di Riva, come controllore della messa a norma degli impianti “sequestrati”: il padrone controlla se stesso. In altri termini:  posti di lavoro e salute restano nelle mani e sotto il controllo di una proprietà e di un padrone che la stessa magistratura, con decenni di ritardo, ha dichiarato “criminali”. 
  
Ciò che stupisce, tuttavia, non è la brutalità del profitto e dello Stato che lo tutela. Ma la subordinazione al padrone ( e allo Stato) di chi dovrebbe tutelare gli operai e la loro vita. In altri termini, capisco l'esultanza dell'”unità nazionale montiana” a sostegno della “soluzione” trovata, col coro immancabile di Confindustria e banchieri. Ma perchè l'esultanza di Nichi Vendola e persino di Paolo Ferrero? 
  
C'è una cosa che  accomuna tutte le sinistre sindacali e politiche in questa vicenda, al di là delle loro diverse collocazioni. Che nessuno ha rivendicato e rivendica l'esproprio di una proprietà criminale. Che tutti considerano normale- nel nome della “difesa del lavoro”- che resti al suo posto un padrone che assassina operai e loro familiari nel nome del profitto. Nel migliore dei casi gli si chiede, con scarso successo, di pagare i costi del proprio crimine e della sua continuità. 
  
E' una posizione subalterna. 
  
Il PCL si è schierato da subito, come sempre, al fianco degli operai dell'ILVA e della difesa del lavoro, contro ogni posizione che in nome dell'ambiente chiede la chiusura della fabbrica. Ma la difesa del lavoro è inseparabile dalla difesa della vita del lavoratore e dei suoi figli. Un padrone che si fa scudo del diritto al lavoro per negare il diritto alla vita, dev'essere espropriato e senza alcun indennizzo. L'azienda nazionalizzata va posta sotto il controllo degli operai. Gli enormi utili realizzati dal padrone Riva ( oltre 3 miliardi di euro nei soli ultimi due anni) vanno requisiti e investiti nella riorganizzazione della produzione, nel cambiamento degli impianti, nella bonifica dei territori. Il tutto sotto il controllo vigile dei lavoratori e dei comitati di quartiere della città. Questa è l'unica vera soluzione di svolta, capace di difendere insieme lavoro e salute, produzione e ambiente. 
  
Perchè non  battersi unitariamente a sinistra per questa rivendicazione elementare? Perchè non raccogliere e tradurre attorno a questa rivendicazione il punto di vista di una parte importante della stessa classe operaia dell'Ilva, che non è disponibile a piegare la testa al padrone? 
  
Si dirà che questa soluzione è “irrealistica” perchè è incompatibile col capitalismo. E' una verità mal posta. E' il capitalismo ad essere incompatibile col lavoro e con la vita.  Conciliare lavoro e vita significa mettere in discussione i fondamenti su cui il capitalismo si regge. A partire dal “sacro” diritto di proprietà. 
  
Il caso ILVA è solo la drammatica metafora  di un bivio generale che interroga il movimento operaio: o si riconduce ogni lotta sociale e ambientale alla prospettiva anticapitalista e dunque rivoluzionaria, o ci si subordina ai miasmi velenosi di un capitalismo fallito e dei suoi odiosi ricatti. In altri termini: o un governo dei lavoratori, o il governo del capitale. “Irrealistica” ,quella sì, è l'eterna pretesa della conciliazione degli opposti. Magari presentando come “vittoria” una soluzione benedetta dal padrone.








           Marco Ferrando

domenica 5 agosto 2012

Intervista Studente/Lavoratore


Dopo le massacranti riforme  della pubblica istruzione, sotto il Governo Berlusconi, mediante i ddl Gelmini, il Governo Monti continua ad attaccare questo settore martoriato, con nuove tasse e nuovi tagli. Infatti con l'entrata in vigore della spending review, votata da PD\PDL\UDC,  avremo un nuovo attacco al diritto allo studio con l'aumento delle tasse universitarie per tutti quei studenti fuori-corso oramai descritti impunemente "sfigati" dalla propaganda governativa. 
Bisogna respingere questa vile ed infame ideologia, che fa del merito un metro di giudizio disuguale, che accentua le differenze fra le varie classi sociali che possono permettersi  o meno una adeguata istruzione ed infine circoscrive alla classe dominante la formazione delle nuove classi dirigenti  e dei futuri servitori del potere capitalistico. Per questo motivo, vi proponiamo il punto di vista di uno studente\lavoratore che potrà ben chiarire le innumerevoli difficoltà di questo mondo sfruttato. 







Dal primo numero della rivista Vicolo Rosso


Intervistiamo Alessandro, uno studente-lavoratore iscritto all’università “L’Orientale” di Napoli. Ci siamo concentrati, per questa nostra prima intervista, sul caso di uno studente-lavoratore per tentare di mostrare le difficoltà a cui va incontro un universitario che, non godendo di una situazione economica familiare che gli consenta di fare dello studio l’attività principale della propria giornata, è costretto a contribuire alle proprie spese universitarie lavorando, con tutto quello che una tale condizione di vita comporta. Ciò dimostra una volta di più quanto il concetto di “meritocrazia”, di cui tanto si riempiono la bocca i politicanti borghesi, ma purtroppo ultimamente anche buona parte (quella riformista) del movimento studentesco, sia sinonimo di “ingiustizia sociale”. Non può esserci alcuna meritocrazia da premiare in una società basata sullo sfruttamento e sulle diseguaglianze sociali, in cui sono le condizioni economiche a spianare la strada a un giovane studente... o a sbattergli la porta in faccia!

A quale corso di laurea sei iscritto e soprattutto a che età ti sei iscritto all’università?

Sono iscritto al  Corso di Laurea di “Civiltà antiche e  Archeologia” presso l’Istituto Universitario l’Orientale di Napoli. Quando ho avuto possibilità di farlo  avevo 24 anni.


A che età hai avuto, invece le tue prime esperienze lavorative?


Avevo dodici anni e iniziai a lavorare in un Bar del mio quartiere: lo chiamavano il “Bar della Nonna”, forse per l’ età della proprietaria. A distanza di tempo mi viene da pensare che era definita Nonna perché SFRUTTAVA nel suo bar i ragazzini del quartiere accogliendoli come dei nipoti. Non ci pagava, dovevamo accontentarci delle mance,  bisognava aiutare la nonna a fare un pò di soldi!

Prima di iscriverti all’università, come “istituto superiore”, hai frequentato il liceo (di qualsiasi tipo)?

Ho frequentato il Liceo Scientifico “Filippo Brunelleschi” di Afragola (NA). I professori della scuola media consigliarono ai miei genitori di iscrivermi ad un liceo; quello di Afragola era il più vicino e quindi il più economico.

E come mai non hai seguito il “classico” (ormai sempre meno “classico”) percorso post-liceale: l’entrata nel mondo del lavoro solo dopo aver portato a compimento gli studi universitari?

Si parla di “classico”percorso post-liceale, ma le realtà socio-economiche dei quartieri poveri situati nelle cittadine periferiche non permettono di seguire i percorsi “classici”, o meglio, in questo tipo di contesto  il percorso “classico” è diverso: se sei fortunato e la tua famiglia cerca di sopravvivere onestamente allora il tuo percorso da studente termina al raggiungimento dell’età dell’obbligo scolastico e per non gravare sulla scarsa situazione economica entri nel mondo del lavoro il prima possibile. Mio padre (pensionato) è analfabeta, mia mamma (casalinga)  ha conseguito la licenza elementare,  i miei due fratelli (operaio edile e metalmeccanico) hanno conseguito la licenza media e da subito  hanno seguito il percorso “classico” relativo a queste realtà: entrare da subito nel mondo del lavoro. Essendo l’ultimo figlio ho potuto usufruire dei sacrifici della mia famiglia e, grazie a loro, ho potuto almeno completare il liceo. Di più non hanno potuto fare e una volta finito il liceo non potevano più mantenermi. Così anch’io ho dovuto seguire il percorso “classico” di  questo  tipo di realtà: lavorare. Ho avuto la fortuna di trovare lavoro come operaio “addetto allo scavo archeologico” e la passione per questo mondo mi ha spinto ad iscrivermi all’Università per tentare di portare a compimento gli studi universitari parallelamente al lavoro.

L’università ha agevolato in qualche modo il tuo percorso di studi vista la tua condizione di studente-lavoratore? O meglio, l’isituzione universitaria ha fatto sì che tale condizione non costituisse per te un ostacolo allo studio?

L’Istituzione Universitaria è composta da persone che, per la maggior parte, sono figli di una realtà borghese molto diversa da quella da cui provengo, abituati come dicevate voi a coloro che seguono un percorso post-liceale “classico”. Questo li porta a pensare che coloro i quali sono al di fuori di questo tipo di percorso non “meritano”, convinti che non vale la pena investire sulla crescita intellettuale di chi studia lavorando o meglio di chi lavora per studiare e preferiscono  puntare su coloro che possono concentrarsi alla sola attività di studio.

Attualmente lavori?

Disoccupato.

E’una tua scelta o rientri in quella sempre più larga fascia di giovani alla perenne ricerce di un’occupazione (= disoccupati)?

Fino a poco tempo fa lavoravo agli scavi archeologici di Piazza Municipio (Napoli). Vi è stata una riduzione del personale e sono stato licenziato.

Parlaci allora delle tue precedenti esperienze lavorative. Ad esempio: quali sono state le forme contrattuali di cui hai goduto; quali sono state le modalità di lavoro (orari, turnazione, condizioni di lavoro); come è stata sfruttata la tua competenza in campo archeologico.

Lavoro da quando avevo dodici anni. Ho fatto: il barista, il cameriere pizzaiolo, operaio in segheria, commesso di ferramenta, manovratore di mezzi meccanici. Per questo tipo di lavori la forma contrattuale era quella del lavoro nero, non vi erano orari e paghe determinate. Ho avuto una breve parentesi come Portalettere di “Poste Italiane” e poi sono quasi dieci anni che in maniera discontinua lavoro come operaio addetto allo scavo archeologico con contratti a tempo determinato e qualche volta indeterminato (quando sono stato licenziato ero a contratto a tempo indeterminato!). Normalmente si lavora dalle 7.00 alle 16.00, in situazioni particolari abbiamo fatto turnazione 06/14, 14/22 e lavorato di notte. La paga è sui € 1000/1100. Si lavora all’aperto,  spesso in scavi di diversi metri di profondità. D’inverno si gela, d’estate ci si infiamma. Si scava comunemente a mano (piccone, pale e carriole) e ciò che si vede spesso nei documentari (archeologi con trowel e pennellino che spolverano qualche frammento di ceramica) è solo la fase finale di una procedura di scavo. Molto probabilmente quel frammento viene da uno spesso strato di terra scavato con piccone e pala sotto un sole cocente da un umile operaio.

La tua realtà lavorativa era sindacalizzata? Quali erano le sigle sindacali presenti? Qual’è il tuo giudizio in merito?

La realtà lavorativa degli scavi archeologici è legata al mondo dell’edilizia pertanto sono presenti le più importanti sigle sindacali CGIL CISL E UIL.  Il mio giudizio in merito è molto negativo. Inizialmente ero iscritto, adesso non più. Non facevano gli interessi dei lavoratori, ma quelli dei sindacati, spesso legati a personaggi politici di zona. I sindacati non di rado “costringevano” le diverse aziende ad assumere personale non qualificato e poco produttivo tutelando solo chi portava voti ai personaggi politici a loro legati, arrivando a compromessi con i padroni per avere qualche assunzione di favore a discapito di chi come unica raccomandazione aveva la propria professionalità. Il mio ultimo licenziamento è stato determinato proprio da un meccanismo del genere.

Quanto ha negativamente influito sullo studio l’enorme quantità di tempo dedicato alle attività lavorative?

Lavorare mi ha dato la possibilità di studiare e al contempo di aiutare economicamente la mia famiglia. Naturalmente mi toglie tanto tempo, sono iscritto da sei anni e non sono ancora laureato alla triennale! Svegliarsi alle 6 del mattino e dopo il lavoro provare a studiare riduce enormemente le energie, spesso mi sono ritrovato a dormire sui libri. Se lavori non puoi seguire i corsi e chi non segue, indipendentemente dalle sue ragioni,  è spesso costretto a svolgere un programma d’esame molto più vasto dei normali studenti.


Alla luce di quanto hai descritto, permettici di dirti che secondo noi il concetto di “meritocrazia” nella società capitalista è sinonimo di “ingiustizia sociale” perché, come la tua esperienza dimostra, non può esserci alcuna meritocrazia nella nostra società, pervasa com’è dalle diseguaglianze economiche degli individui. Qual’è la tua opinione?


Sono pienamente d’accordo. La meritocrazia mette, ad esempio, sullo stesso piano il figlio di un imprenditore con il figlio di un operaio. Non tiene conto delle difficoltà diverse che si è costretti ad affrontare in base alla propria provenienza socio-economica. Ad esempio, ci sono realtà dove parlare non solo il dialetto è una conquista importante, figuriamoci adeguarsi ai meccanismi della meritocrazia che chiedono la conoscenza di due/tre lingue. La “meritocrazia” è una forma di potere che non considera le variabili della diseguaglianza economica e del contesto sociale d’appartenenza, tagliando fuori i soggetti più deboli. Lo schema capitalista aveva stabilito che io non “meritassi” nemmeno la possibilità di essere uno studente.

Vi saluto con una citazione che vuole essere una speranza di cambiamento e di rivoluzione.

“… Il genio, e perfino il grande talento, non sorgono da elementi intellettuali e raffinamenti sociali superiori a quelli altrui, ma dalla facoltà di trasporli e di trasformarli … Così, i creatori delle opere geniali non sono quelli che vivono nell’ambiente più delicato, hanno la conversazione più brillante e la cultura più vasta, ma quelli che hanno avuto la forza, smettendo bruscamente di vivere per se stessi, di rendere la propria personalità simile a uno specchio di modo che vi si possa riflettere la loro vita sociale e intellettuale mediocre, perché il talento consiste nel potere riflettente, e non nella qualità intrinseca dello spettacolo riflesso… “ - (Marcel Proust, À l’ombre des jeunes filles en fleurs).

venerdì 3 agosto 2012

Giustizia per Mariano Ferreyra! Carcere a tutti i responsabili: Pedraza, i sindacati, la polizia ed i padroni!


Giustizia per Mariano Ferreyra!

Carcere a tutti i responsabili: Jose Pedraza, i sindacati, la polizia ed i padroni!

Chi è Mariano Ferreyra? Mariano era un militante politico argentino del Partido Obrero e del Coordinamento della Rifondazione della Quarta Internazionale (CRQI) brutalmente assassinato il 20 Ottobre 2010 a Barracas, nei pressi di Buenos Aires, per mano di una squadraccia fascista del sindacato peronista della Unione Ferroviaria (appartenente alla confederazione della CGT) e sostenitore, tra l’altro, dell''attuale  governo “progressista” di Cristina Kirchner.

Aveva soli 23 anni quando quel giorno si trovava a  manifestare dalla parte degli operai ferroviari alla manutenzione della stazione di Avallaneda, vicino Buenos Aires. Una lotta condotta contro la terziarizzazione, imposta dal padrone mediante un accordo capestro firmato in combutta col sindacato peronista dell’Unione Ferroviaria diretta da Jose Pedraza, contro i licenziamenti dei 100 operai e per la loro riassunzione e reintegro nella casa madre. 
  
Complice di questo comitato d'affari corrotto, formato dai padroni insieme ai sindacati ed alla polizia, è il governo di Cristina Kircher che oggi come allora si scagliò contro la classe lavoratrice ferroviaria,  in particolare contro il Partido Obrero, colpevole, secondo la Kirchner, di aver protestato contro l’ordine istituito delle leggi del grande capitale. Inoltre  la Kirchner difende tutt'ora l’alleanza politica, celebrata giorni prima dell'assassinio, proprio con quei colpevoli assassini della “Gioventù Sindacale Peronista”che hanno ucciso Mariano e nello stesso scontro ferirono gravemente vari compagni, fra cui la compagna Elsa Rodriguez che sta lentamente recuperando  dallo stato comatoso in cui quel giorno entrò.

Il prossimo 6 Agosto 2012 i giudici del diritto borghese si esprimeranno sui fatti del 20 Ottobre 2010. Di fatto essi hanno già esentato dal loro giudizio i vertici del sindacato dell’Unione Ferroviaria protetti dalla borghesia argentina e dal governo reazionario della Kirchner che intanto continua nel condurre una infame campagna maccartista contro quei partiti comunisti dell’estrema sinistra ed in particolar modo contro il Partido Obrero, rappresentante della classe lavoratrice.

Per questo motivo chiediamo a gran voce il carcere per tutti i responsabili di quella strage, primo fra tutti ad Jose Pedraza capo dell'Unione Ferroviaria, ai vertici della polizia, del padronato, del sindacato e del governo. Ma siamo consapevoli del fatto che questo reale obbiettivo può essere portato a termine soltanto  dalla classe “obrera\operaia”, l'unica in grado veramente di processare gli esecutori ed i mandanti di questo bruto assassinio compiuto ai danni un militante che ha sempre lottato per la causa della rivoluzione mondiale socialista!

Mariano è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai!

Pagheranno caro, Pagheranno tutto!

MARIANO FERREYRA PRESENTE!