mercoledì 28 novembre 2012

[Fincantieri] Basta coi tavoli concertativi: Lotta di classe!


[Fincantieri] Basta coi tavoli concertativi: Lotta di classe!

Lunedì 26 Novembre si è speso l’ennesimo tradimento sulle spalle di migliaia di lavoratori Fincantieri ed Indotto da parte delle forze padronali e sindacali. Sono anni che questi ultimi raccontano sempre le stesse menzogne ai lavoratori: bisogna stare buoni, bisogna aver fiducia nell’azienda, bisogna firmare gli accordi che prevedono la cassa integrazione e la mobilità, bisogna  credere al bacino di carenaggio (nel caso di Castellammare di Stabia), bisogna essere ottimisti che il ciclo produttivo riprenderà con tante nuove commesse, ecc ecc. Di fatto punto primo la mancanza di azioni radicali sono da imputare alle burocrazie sindacali (Cgil-Cisl-Uil) complici di illudere i lavoratori a furia di tavoli istituzionali che si sono rivelati sempre delle farse senza ottenere alcun risultato reale; in secondo la fiducia nell’azienda, acclamata dai sindacati Cisl,Uil,Ugl e da forze politiche di centrodestra e centrosinistra, alla fine  ha portato la vera prospettiva di piani di ridimensionamento degli impianti e piani di esuberi per le maestranze, dove l’indotto paga il prezzo più alto; in terzo gli accordi di Dicembre 2011 (firmato da Fincantieri-Cisl-Uil-Ugl-Failms), al centro delle trattative, hanno elargito cassa integrazione, quest’ultima fra l’altro in scadenza, con la imminente prospettiva degli esuberi; in quarto punto la spettacolare messa in scena di un inesistente piano per il cantiere di Castellammare di Stabia, il “Protocollo d’Intesa”, brindato da politici di centrodestra e centrosinistra e sindacati, che alla fine, dopo aver lautamente finanziato esperti del settore, non solo si è rivelato incompatibile con le scelte aziendali ma rileva l’inganno condotto da anni contro la classe operaia; in ultimo i dati della capacità lavorativa degli otto cantieri, a pieno regime 13 milioni di ore contro le attuali 7,5 milioni, dimostrano come Fincantieri mira da un lato a concentrare la produzione della crocieristica di lusso in pochi e specifici cantieri, mentre gli altri rimarranno agonizzanti con ristrutturazioni o qualche piccola commessa per sopravvivere prima della chiusura, dall’altro si ambisce l’ingresso in nuovi mercati, come l’off-shore, magari attraverso fusioni con competitor internazionali come Stx.



Anche in questo tavolo la dirigenza, tramite le parole dell’a.d. Bono, ha espresso inequivocabilmente la propria posizione: Bisogna adattarsi alla concorrenza del mercato! Bisogna diversificare la produzione! Tradotto: gli operai devono adattarsi alle necessità  concorrenziali del capitalismo, pertanto, al fine di garantire maggiori utili ai nuovi vertici della Cdp (Cassa depositi e prestiti), devono piegarsi ad ogni politica di tagli e ridimensionamento  strutturali (che quando sarà inevitabilmente si tradurrà in chiusura), perdita dei reali diritti, abrogazione totale delle pause; tale ricatto coinvolge vari cantieri che come quello di Castellammare si ritrovano senza alcuna prospettiva. Insomma è la chiara dimostrazione che la musica padronale dei “sacrifici”, imposta dal Governo Monti, si riflette anche nel contesto produttivo dove chi paga realmente la crisi sono i lavoratori.


Per questo motivo, quale prospettiva può realmente dare credibilità ai tanti lavoratori che gridano “lavoro” ad ogni sciopero e manifestazione? La risposta passa attraverso la radicalizzazione della lotta di classe che va dal rifiuto incondizionato delle decisioni imposte dai dirigenti, all’uso di forti mezzi di lotta come scioperi ed occupazioni, a rivendicazioni come un recupero su salari e pensioni attraverso l’aumento uguale per tutti i lavoratori e le lavoratrici di almeno 300 euro netti mensili; un salario minimo intercategoriale di almeno 1500 euro, totalmente detassati; l’esproprio senza alcun indennizzo per i padroni delle aziende che licenziano, inquinano o sfruttano lavoro nero e la loro nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori; una vera democrazia, contro le burocrazie sindacali, attraverso comitati di fabbrica che eleggono propri rappresentanti, rimovibili in qualunque momento dagli stessi lavoratori,ed ai quali devono rispondere nelle assemblee partecipate dove il potere decisionale appartiene alla plenaria. L’unico governo capace di realizzare tutte queste semplici rivendicazioni si chiama “governo dei lavoratori” ed il Partito Comunista dei Lavoratori si batte in ogni frangente per la sua costruzione.

domenica 18 novembre 2012

Cacciare il governo Monti-Napolitano!


Cacciare il governo Monti-Napolitano!

Il prossimo vertice istituzionale per “l’integrazione europea” che si svolgerà Lunedi 19 Novembre, a Napoli, è l’ennesima provocazione di questo Governo che prosegue la sua campagna dei “sacrifici   necessari”  nei confronti di migliaia di lavoratori, studenti, precari, disoccupati; tutto al fine di salvaguardare gli interessi del grande capitale finanziario. Tutte le realtà sociali che hanno giustamente contestato lo scorso Lunedi 12 Novembre  il ministro del Welfare Elsa “choosy” Fornero  e Mercoledì 14 le politiche di austerità dei governi europei, continueranno la loro lotta contro il presidente Napolitano,portavoce di banche e Confindustria, insieme all’omologo tedesco Gauck ed al polacco Komorowski.

Nessuna zona franca sarà risparmiata a Napolitano ed ai ministri del Governo Monti! Bisogna riaprire una nuova stagione di lotte che deve veder unito il più ampio fronte unico di lotta che sappia respingere gli attacchi del Governo Monti e tutte quelle forze politiche e sindacali che lo appoggiano, per realizzare la vera alternativa che passa necessariamente attraverso la creazione di un Governo dei lavoratori, quest’ultimo sarà realmente capace di salvaguardare l’interesse di tutti gli sfruttati di questo sistema.

Appuntamento Lunedì 19 Novembre -  Concentramento ore 15.30  Palazzo Giusso – Napoli - per poi dirigersi in corteo verso Palazzo Reale - P.za del Plebiscito – dove avrà luogo il vertice istituzionale.
  

martedì 13 novembre 2012

Fornero non ti vogliamo, né a Napoli né altrove!


Fornero non ti vogliamo, 
né a Napoli né altrove!


Si è appena conclusa la due giorni di incontri istituzionali a Napoli del ministro del welfare (si fa per dire!) Elsa Fornero, che ha incontrato la sua omologa del governo tedesco, Ursula von der Leyen, per discutere “pubblicamente” delle innovative forme di precariato (contratti di apprendistato) da portare avanti con sempre maggiore convinzione in Italia, in Germania e in tutta Europa.



La visita del ministro è stata scandita dalle proteste dell’indignata cittadinanza napoletana!
In particolare, la giornata del 12 novembre ha visto un imponente corteo sfilare nelle strade di Napoli, proprio mentre a poche centinaia di metri andava in scena il vertice italo-tedesco. Purtroppo, una volta percorse quelle poche centinaia di metri e arrivati in prossimità del luogo in cui si svolgeva l’incontro i manifestanti sono stati accolti da un fitto lancio di lacrimogeni, che è cresciuto sempre di più con il passare dei minuti.
Per fortuna, la maggior parte del corteo è rimasta compatta permettendo il proseguo della manifestazione fino al centro di Napoli. Ma un’altra parte, composta prevalentemente da studenti, ha cercato riparo all’interno della facoltà di ingegneria dell’università Federico II. I lacrimogeni, invece, sono arrivati anche nel cortile dell’ateneo e lanciati ad altezza uomo. Solo dopo diverse decine di minuti è stato permesso a tali studenti di uscire per ri-unirsi al resto dei manifestanti.

Purtroppo si sono contati diversi feriti, alcuni giovanissimi, tra i partecipanti al corteo, ma Napoli, città in cui la contraddizione capitale/lavoro si esprime in tutta la propria durezza, ha fornito una forte risposta alle ricette “bocconiane” del governo tecnico.
Saremo ancora in piazza, a partire dallo sciopero generale europeo del 14 novembre, al fianco degli studenti e degli operai, dei precari e dei disoccupati, per ribadire con forza la necessità della cacciata degli affamatori governi europei e per porre con altrettanta forza la necessità di un’alternativa di sistema: il governo dei lavoratori, il solo che possa metter fine ai drammi dello sfruttamento, della precarietà, della disoccupazione.






giovedì 8 novembre 2012

Una grande piazza operaia contro Marchionne

Il Partito Comunista dei Lavoratori conferma la propria presenza alla manifestazione di sostegno alla lotta degli operai Fiat ed Indotto che si terrà Sabato 10 Novembre a Pomigliano d'Arco (appuntamento ore 10.30 stazione vecchia) indetta dalla Confederazione Cobas.


Di seguito trovate il volantino che distribuiremo durante la manifestazione:


Una grande piazza operaia contro Marchionne

La risposta alla crisi del capitalismo è la lotta di classe!

Dinanzi ai ripetuti attacchi padronali “targati” FIAT, che vanno dall’introduzione del famigerato Piano Marchionne all’aumento della cassa integrazione e dei licenziamenti fino alla completa chiusura degli stabilimenti,  la classe operaia deve fornire una risposta altrettanto netta e radicale, “licenziando” i responsabili sindacali e politici, di centrodestra e centrosinistra, che hanno da sempre avallato (e pubblicamente lodato) gli interessi dei grandi gruppi industrieali come la Fiat.

Il forte arretramento sul terreno dei diritti dei lavoratori e l’attacco alle conquiste che la classe operaia aveva strappato alla borghesia grazie a decenni di lotta (e non certo grazie al PCI del compromesso storico con la Democrazia Cristiana, che più di tutti rappresentava allora il “partito dei padroni”), come lo Statuto dei lavoratori, e in particolare l’articolo 18, devono essere risolutamente rigettati attraverso un’energica risposta di piazza. Quest’ultima, però, per essere realmente efficace, deve porre al centro del dibattito la parola d’ordine della nazionalizzazione delle aziende in crisi, a partire proprio dalla Fiat, sotto il controllo dei lavoratori e senza alcun indennizzo per i padroni!


Pertanto, se la radicalità di Marchionne ha portato all’espulsione di 3.000 operai nel solo stabilimento di Pomigliano, ebbene la radicalità della risposta operaia, e i lavoratori della Fiat non possono che avere un ruolo d’avanguardia in tale risposta, deve esigere l’immediata cacciata degli artefici di questa crisi economica e porre le basi per la costruzione di un nuovo “modello di Governo operaio”, capace di costruire una reale solidarietà di classe, di far coincidere le esigenze e le necessità di tutti gli sfruttati di questo sistema, di abolire il principio capitalistico della sfrenata ricerca del profitto ai danni della dignità umana di ogni lavoratore



domenica 4 novembre 2012

La bancarotta capitalista scuote l'America latina: per un'alternativa operaia e socialista



La bancarotta capitalista scuote l'America latina: per un'alternativa operaia e socialista





Per la fusione della sinistra rivoluzionaria con il movimento operaio.

Manifesto programmatico votato alla riunione di San Pablo, convocata dal Partido Obrero, come parte della campagna internazionale votata dal Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale(CRQI), il 14 e 15 settembre 2012, con la presenza di delegazioni del Partido Obrero (Argentina); Partido de los Trabajadores (Uruguay); Tribuna Classista (Brasile); personalità e militanti del Brasile, Paraguay e Cile. 



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Le crisi politico-economiche e le convulsioni sociali che attraversano lo scenario mondiale sono le manifestazioni inequivocabili di una bancarotta del sistema sociale capitalista. Passati due decenni dal crollo dell’Unione Sovietica, dalla restaurazione capitalista e dalla intensa integrazione della Cina nel mercato mondiale, una minaccia di dissoluzione dell’Unione Europea e una crisi nord-americana mettono in discussione il destino del regime capitalista su scala mondiale, compreso il destino della transizione capitalista negli ex stati operai. 

Tutte le classi sociali si confrontano con una crisi di potere; negli ultimi due anni e mezzo sono caduti 26 governi, compreso il rovesciamento di interi regimi politici, e sono avvenute rivoluzioni o semi-rivoluzioni in Nord Africa (in particolare in Tunisia ed Egitto). La crisi politica in Grecia si è manifestata nella caduta di tre governi in successione e ha lasciato posto alla rivendicazione politica di un “governo della sinistra”, in opposizione ad una coalizione tripartita di partiti capitalisti. Una tendenza alla dissoluzione del capitalismo, che è l’essenza di ogni crisi che pone in conflitto estremo lo sviluppo delle forze produttive ed i rapporti di produzione prevalenti, avvolge la Grecia e l’insieme delle relazioni politiche. Le masse lavoratrici cominciano ad irrompere nelle scenario politico mondiale, in maniera definitiva. Il periodo di euforia capitalistica, eccessivamente corto, che è seguito alla dissoluzione degli ex stati operai, è finito da molto tempo. L’evoluzione della crisi in numerosi paesi, le lotte e le ribellioni popolari, hanno posto fine alla speculazione per cui la crisi mondiale in corso si ridurrebbe ad un episodio economico dalle caratteristiche finanziarie limitate. Lo scenario mondiale è dominato dalle crisi del regime politico e dalle svolte delle masse. 
La minaccia di dissoluzione dell’Unione Europea, o in alternativa, una conversione dell’Europa in un protettorato incaricato di riordinare in maniera brutale l’insieme del quadro sociale di questo continente, e dall’altra parte lo sviluppo della rivoluzione in vari paesi arabi e una minaccia di grandi guerre in tutta questa regione, vanno a configurare una situazione storica eccezionale. La politica rivoluzionaria deve consistere nell’orientare questo cambiamento per trasformarlo in una lotta per il rovesciamento della borghesia e la presa del potere da parte della classe operaia. 



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La crisi dell’Unione Europea confuta nuovamente l’utopia di una unificazione pacifica del capitale finanziario (ultra-imperialismo), e rende chiaro il suo carattere reazionario, perché implica la sottomissione delle nazioni più deboli, uno svuotamento delle istituzioni formali della democrazia borghese e la tendenza a sopprimere l’autonomia nazionale e a sostituirla con un regime di protettorati. “Gli Stati Uniti d’Europa non costituiscono un superamento storico delle frontiere nazionali ma sono un’utopia reazionaria”(Lenin). La bancarotta capitalistica rappresenta, in Europa, un principio di dissoluzione dei regimi politici che sono emersi dalla Seconda Guerra Mondiale. Ciò si manifesta nell’apparizione di “governi tecnici”, imposti dalla Commissione Europea e dall’FMI, e nella tendenza alla dissoluzione dei regimi statali, come nel caso delle comunità autonome dello Stato Spagnolo, o nella rivendicazione dell’Indipendenza della Scozia (che si sommano alle provocazioni delle guerre imperialiste nei Balcani). Assistiamo, inoltre, a svolte sempre più marcate nella disposizione delle masse, con rapidi spostamenti a sinistra. È interessante notare la velocità che acquista questo sconvolgimento politico in Spagna e anche le manifestazioni che cominciano a prodursi in Italia in Francia. Gli Stati Uniti, cuore del capitalismo mondiale, soffocati dal peso di un debito pubblico del 140% del PIL, da un debito estero incommensurabile e dal crollo finanziario degli stati della federazione, si confrontano con una arretramento sociale storico. 



Il carattere sistemico della crisi del capitalismo si manifesta, soprattutto, nell’ingresso della Cina nel circuito della bancarotta mondiale, dove le rivolte popolari e operaie crescono come funghi. La crisi sistemica del capitalismo mondiale (poiché include tutti i paesi e le attività economiche) ha luogo in condizioni storiche particolari: in primo luogo, il suo declino avanzato (esaurimento dello sviluppo della capacità delle forze produttive, compresa la minaccia della sopravvivenza del sistema planetario) in secondo luogo, un subconscio collettivo degli sfruttati, determinato dall’esperienza di costruzione di grandi organizzazioni di classe, comprese numerose rivoluzioni, qualche sconfitta e numerosi trionfi, che dimostrano la possibilità concreta di rovesciare il capitalismo e iniziare la transizione verso un ordine sociale storicamente superiore. Gli Stati Uniti d’Europa sotto la forma inevitabile di un protettorato , stimolano inevitabilmente alla lotta interimperialista con gli Stati Uniti ed il Giappone, e trascineranno la Russia e la Cina in una nuova guerra mondiale, senza spazi per nazioni “neutrali”. In opposizione a questa “utopia reazionaria”, proponiamo la lotta contro i piani di austerità della Commissione Europea-FMI e la difesa delle conquiste sociali ottenute dai lavoratori; la rottura nazionale con l’Unione Europea, per costruire gli Stati Uniti Socialisti d’Europa, comprendendo la Russia, vale a dire l’unità politica del proletariato d’Europa. L’inaugurazione di un nuovo periodo di rivoluzioni e guerre civili in Medio Oriente modifica in modo permanente le condizioni per la vittoria nazionale palestinese e la formazione di una repubblica palestinese laica, unita e socialista. La dipendenza dei movimenti nazionali palestinesi dalla borghesia e dalle classi feudo-capitaliste della regione possono essere definitivamente sostituite dall’unità politica degli operai e dei contadini del Medio Oriente. 


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Lo sviluppo della coscienza politica della classe operaia, che era regredita per più di due decenni, ha ricevuto un enorme impulso come conseguenza della bancarotta capitalista. Per la sinistra rivoluzionaria e le masse si tratta di preparare, attraverso un nuovo periodo di transizione, il governo dei lavoratori. 


L’America Latina non è stata ai margini della crisi mondiale, come hanno evidenziato le recessioni del 2008 e del 2009; i suoi governi(Messico, Brasile, Perù) hanno dovuto essere salvati dai prestiti della Federal Reserve (Banca Centrale degli USA), o dalla Central Bank of China (nel caso dell’Argentina). La crisi ha accentuato il regime di monoproduzione o di arretramento relativo dell’industrializzazione dipendente dal capitale internazionale, tanto finanziariamente che tecnologicamente. Si è prodotta un’apertura unilaterale maggiore verso il mercato mondiale, basata sulle esportazioni di minerali e cereali, e una contrazione relativa del mercato interno. Le borghesie nazionali sprecano le possibilità che gli offre la crisi mondiale per sviluppare le proprie forze produttive interne, per la semplice ragione che essa avrebbero dovuto nazionalizzare le banche ed il proprio commercio estero. La crisi mondiale ha fatto retrocedere il Mercosur; la politica monetaria è stata condizionata dall’azione della Federal Reserve USA. Negli ultimi mesi, lo sviluppo della crisi in Cina minaccia un aumento delle aliquote dell’esportazione; e per questi paesi importatori, ha generato una crisi alimentare fenomenale con una serie di rivolte popolari. 


Gli alti prezzi delle materie prime sono stati utilizzati per incapsulare la miseria sociale con piani di assistenzialismo, e per accumulare riserve internazionali parassitarie, funzionali alla speculazione internazionale. L’assistenza sociale è presentata come un metodo di redistribuzione del reddito, quando in realtà consolida un esercito di disoccupati cronici, senza prospettive, che preme, simultaneamente, per un abbassamento dei salari e provoca, dall’altra parte, una maggiore differenziazione sociale in seno alle masse popolari. I governi nazionalisti si sono serviti di questi piani assistenziali per opporre le masse senza lavoro alla classe operaia. L’operaio dell’industria è presentato dal nazionalismo come “un’aristocrazia”, in questo modo, si giustifica una “redistribuzione del reddito” dall’operaio industriale alle masse senza impiego, attraverso le imposte sui consumi e la confisca delle pensioni. Questo “livellamento in basso” è stato ampiamente promosso dalla Banca Mondiale, dalle ONG e dalla filantropia capitalista. È anche un metodo di controllo sociale da parte degli Stati e delle loro agenzie sulle masse più colpite dalla crisi capitalista. 


Invece di un’accumulazione di risorse produttive, le nazioni dell’America Latina stanno sperimentando la più grande fuga di capitali della propria storia. Nel caso del Venezuela, la cui attività produttiva fondamentale, il petrolio, è formalmente nazionalizzata, si registra una crisi dell’indebitamento senza precedenti della PDVSA, che dipende sempre più dagli accordi di partecipazione con i monopoli internazionali nell’esplorazione del Bacino dell’Orinoco. Dopo dodici anni di esperienza bolivariana, la struttura delle classi in Venezuela non è cambiata, né la sua economia di rendita. Le nazionalizzazioni delle aziende non hanno provocato uno sviluppo delle forze produttive, ma una battuta d’arresto. 
I governi bolivariani (Alba) si vantano di aver realizzato un’integrazione senza precedenti nella storia regionale. Confondono l’apparenza con la realtà, ed il parolaismo con la sostanza. Niente lo dimostra meglio, in primo luogo, dell’arretramento persistente del Mercosur (dove è diminuito l’interscambio interno), attraversato da una disputa commerciale interna in piena crisi mondiale. Lo scopo principale di questa organizzazione – negoziare, come blocco, una maggiore integrazione nel mercato mondiale – si è concluso in un fallimento (è stato appena firmato un accordo di libero scambio… con Israele!). Il Brasile e l’Argentina stanno incorporando il Venezuela nell’associazione, ma si tratta di un accordo vuoto di contenuto. La commentata integrazione energetica che postulava questo accordo è stata confutata dal fallimento dell’accordo tra Brasile e Venezuela per la costruzione di una raffineria binazionale a Pernambuco. Senza contare che il governo di Hugo Chavez dovrà aprire l’economia al regime sionista. I due principali progetti d’integrazione – il gasdotto continentale e il Banco do Sul sono stati archiviati; né ha preso forma la sostituzione del dollaro da parte delle monete locali negli interscambi regionali. 


Il “socialismo del XXI secolo” è condizionato ad una partecipazione e ad un’integrazione capitalista che non punta all’indipendenza dell’America Latina, né tanto meno a superare il capitalismo. Dilma Roussef e Cristina Kirchner sono state incapaci di impedire il colpo di stato contro Lugo, come era avvenuto prima con l’Unasur prima del rovesciamento del presidente dell’Honduras Zelaya. Brasile ed Argentina sottopongono il Paraguay ad uno sfruttamento semicoloniale, in primo luogo con il saccheggio energetico a cui sottopongono la nazione guaranì, e dall’altra, attraverso il monopolio commerciale che esercitano sopra l’esportazione della soia paraguiana, a beneficio dei monopoli internazionali e nazionali con sede a Sao Paulo e Rosario (Argentina). Roussef e Kirchner non potevano fare più di quanto hanno fatto contro il golpe a danno di Lugo, perché proteggono nei loro paesi gli stessi interessi del capitale latifondista della soia. 


L’entrata prodotta dall’energia elettrica di Itaipu e Yacireta che si assomma a quella del petrolio e del carbone, essendo determinato dal mercato mondiale, è appropriato dal Brasile e dall’Argentina, a detrimento del Paraguai (la retribuzione del Paraguay si stabilisce secondo un regime di costo + profitto, e non tiene conto, perciò, dell’elevato rendimento dell’energia idroelettrica). Il tentativo di Lugo di aumentare la quota di tale reddito a favore del Paraguay è stato respinto senza mediazioni dai suoi vicini “integrazionisti”. Questa esperienza dimostra come sia infondata la proposta del Frente Guazù del Paraguay, che punta all’integrazione latino-americana come via per lo sviluppo delle forze produttive nazionali. Questa soluzione è possibile solamente attraverso il recupero della sovranità energetica; la nazionalizzazione della terra; la statalizzazione del commercio estero. 


Nel quadro di questa situazione regionale del Paraguay, si gestisce l’installazione nel paese dell’impresa mineraria canadese Rio Tinto, che consumerà il surplus di energia che produce il paese e devierà le entrate energetiche verso il monopolio minerario. Rio Tinto ritrasformerà le materie prime importate per produrre alluminio, al solo scopo di monopolizzare le entrate dell’elettricità. Gli interessi dell’oligarchia paraguayana (che comprendono i periodici latini “brasiguarios”), d’altra parte, sono profondamente intrecciati con gli affari messi su nel paese dal business agricolo brasiliano e dai grandi monopoli agricoli imperialisti. Il Paraguay è uno dei paesi al mondo con la maggiore concentrazione fondiaria: il 2% della popolazione possiede l’85% delle terre, compresi gli otto milioni di ettari usurpati durante la dittatura di Stroessner, corrispondenti al 20% del territorio. L’integrazione latino-americana che favorisce soprattutto il Brasile serve agli interessi dei grandi costruttori di opere infrastrutturali (appaltatori), connessi agli investimenti del capitale minerario internazionale, ed in stretta relazione con il capitale delle macchine pesanti degli Stati Uniti (Caterpillar). 


Come socialisti rivoluzionari denunciano i limiti insormontabili di integrazione capitalista dell'America Latina e gli obiettivi di sfruttamento dei monopoli internazionali che si associano alla richiesta di integrazione, e difendiamo la confisca del latifondo, la nazionalizzazione delle banche e del commercio estero, e la creazione di una federazione socialista.


La presenza militare statunitense nella regione non è stata indebolita. È sempre presente in Colombia e Panama; si manifesta nelle esercitazioni militari congiunte e nei contratti di produzione militari con i governi della regione. In funzione dell'operatività della Quarta flotta degli Stati Uniti, si negoziano basi militari nel Chaco argentino e paraguiano. Il sostegno degli Stati Uniti all'occupazione militare britannica delle Malvinas è funzionale a questa strategia. La più volgare manifestazione della pretesa emancipatrice del latino-americanismo piccolo borghese è l'occupazione militare di Haiti, da un lato, ed il rifiuto della rivendicazione dell’indipendenza di Porto Rico e della sua integrazione in una federazione socialista dell'America Latina e dei Caraibi. 

L'inizio dei negoziati di pace tra il governo colombiano e le FARC può essere considerato come un riconoscimento del carattere di forza belligerante della guerriglia, da parte dello Stato e delle forze armate, e come un passo verso la cosiddetta "soluzione umanitaria "del conflitto. Tuttavia, l'obiettivo strategico di questa negoziazione è di sviluppare un soluzione capitalista attraverso la grande espropriazione dei contadini che è avvenuta in Colombia; incorporare milioni di ettari nel mercato della soia internazionale; sviluppare la penetrazione del capitale finanziario nel petrolio colombiano; risolvere la questione dell'integrazione delle forze paramilitari colombiane nel regime politico; e, sopra ogni cosa, consacrare la collaborazione del chavismo e del castrismo all’ordine capitalista-proprietario dei Caraibi. Perciò, questi negoziati sono supportati da tutto l'establishment internazionale che cerca, anche in questo modo, di assimilare il chavismo e rafforzare il quadro internazionale per una restaurazione completa del regime di proprietà privata a Cuba. Questo nuovo ricorso ad un "negoziato di pace", che impegna i guerriglieri a sostenere il regime politico vigente, è una nuova prova che la violenza o il militarismo non costituiscono di per sé un programma di emancipazione. Denunciamo i limiti invalicabili dei negoziati di pace come strumento per porre fine alla miseria delle masse caraibiche e all'assoggettamento nazionale dei loro paesi, e ci appelliamo per approfittare della "pacificazione" che potrebbe derivare dai negoziati per rafforzare l’organizzazione operaia e popolare, avanzare nelle rivendicazioni, sviluppare la lotta di massa, e infine, puntare ad una alternativa operaia e socialista. 


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I governi nazionalisti piccolo-borghesi, civili o militari, pretendono di assumere la rappresentanza storica degli interessi popolari. Cercano di fondare la propria legittimità politica in opposizione alla “destra”(utilizzando questa funzione anche per occultare la presenza nel proprio seno di una poderosa e, dominante, destra indigena). 
L’Argentina, colpita da una grave crisi fiscale che colpisce la capacità di arbitraggio del kirchnerismo, assiste ad un principio di rottura della classe operaia con il governo, ed anche ad un principio di ascesa della sinistra. Le misure interventiste parziali stanno portando ad una dislocazione dell'economia, aggravando la fuga di capitali e provocando una recessione che colpisce settori fondamentali della classe operaia. La burocrazia sindacale affronta questa crisi, screditata e contestata da un nuovo attivismo sindacale che cerca di recuperare i sindacati ad una politica indipendente. 
Nella regione, il governo del Brasile si sta schierando in prima linea nel tentativo di scaricare la crisi sulle spalle dei lavoratori. All’annunciato nuovo ciclo di privatizzazioni dei porti, delle autostrade e degli aeroporti, con generose sovvenzioni per le grandi imprese, aggiunge un programma completo antioperaio che punta alla distruzione della legislazione sul lavoro. La strategia è procedere con una gigantesca confisca di risorse per sovvenzionare le aziende private ed attenuare la caduta del saggio di profitto. La reazione delle masse comincia a trasformare lo scenario politico, ostruito per quasi un decennio da un governo di collaborazione di classe e di sottomissione dei sindacati attraverso le burocrazie del CUT e dell’MST. Di fronte agli scioperi nazionali di almeno 35 categorie di dipendenti pubblici, Dilma Rousseff è ricorsa a tutte le risorse legali ed illegali per fronteggiare gli scioperanti. Criminalizzazione delle lotte, nessun pagamento dei giorni di interruzione del lavoro, aumento della violenza contro i poveri, decreti incostituzionali contro il diritto di sciopero, hanno rivelato agli occhi delle masse il carattere antioperaio e antipopolare del governo brasiliano. 

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La mobilitazione più ampia e radicalizzata della gioventù, come ci dimostra il Cile, è un fattore fondamentale della situazione politico latino-americana. La ribellione contro l’"aggiustamento" del settore dell’educazione ha caratteristiche internazionali, come testimoniano le lotte che si verificano dal Cile al Canada, passando per la Colombia e l’Europa. Sono il risultato della privatizzazione dell'istruzione e dell'enorme peso economico assunto dalle famiglie per il finanziamento degli studi. La bancarotta finanziaria ha messo in crisi questo sistema, anche nei paesi ricchi. In quelli più poveri porta alla rovina dei municipi, che hanno la responsabilità della formazione primaria. La crisi globale rafforza l’asfissia del bilancio per l'istruzione pubblica ed i sostegni della capacità economica dell'istruzione privata. In America Latina, le grandi mobilitazioni degli studenti cileni hanno messo sotto scacco l'intero sistema politico. 


La ripresa nel 2012 delle proteste degli studenti cileni, è diventato l'asse di mobilitazione nazionale degli oppressi nel paese, tenendo sotto scacco il governo di Piñera. Il Cile è l'esempio estremo della distruzione dell'istruzione pubblica, attraverso la definizione di piani della Banca Mondiale, imposti a ferro e fuoco da Pinochet. In Argentina, la gioventù rivoluzionaria svolge un ruolo dirigente nelle università più importanti, resistendo agli attacchi del governo Kirchner, che vuole mettere le organizzazioni forgiate attraverso la lotta degli studenti al servizio dello Stato. Il processo contro i responsabili dell'assassinio del giovane militante del Partido Obrero, Mariano Ferreyra, eseguito da un gruppo para-militare della burocrazia sindacale, ha trasformato una rivendicazione di giustizia in un’autentica causa nazionale della gioventù. In Brasile, lo sciopero dell'università ha visto la partecipazione massiccia di studenti al di fuori delle strutture irreggimentate dal governo. In Messico, il ritorno del PRI al potere, lungi dal rappresentare una restaurazione dell'autorità di uno Stato che è in via di disgregazione cronica, è stato preceduto dall’emergere di un grande movimento della gioventù, lo Yosoy132. Il governo di Peña Nieto, rabbiosamente pro-imperialista e con un ampia agenda antipopolare, deve affrontare una gioventù "indignata" che occupa le strade. 


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Sotto un apparente inerzia politica istituzionale a Cuba si sta sviluppando un terremoto socio-economico. In nome dell’ "aggiornamento del modello economico cubano" si è aperta la strada di concessioni crescenti al capitale straniero e a varie vie per l’accumulazione del capitale interno (acquisto e vendita di case ed immobili, di veicoli, ecc.), rafforzato economicamente dalle rimesse di Miami. La crescente dipendenza dal turismo sviluppa in maniera particolare il cosiddetto "male olandese", perché rende più costosa, in termini internazionali, la produzione interna, in primo luogo dell'agricoltura. Le importazioni di prodotti alimentari per il consumo del turismo ostacola la valorizzazione dell'agricoltura cubana, che rischia di produrre un esercito cronico di disoccupati insieme ad una popolazione licenziata dalle imprese statali, in una sorta di "piano di aggiustamento socialista". La doppia moneta e la circolazione del dollaro nel settore turistico (principale fonte di valuta estera del paese, e di reddito per una parte consistente della popolazione) accelerare i meccanismi interni di accumulazione. La differenziazione sociale cresce rapidamente e stimola la bramosia della burocrazia di trasformarsi in classe proprietaria. 


La crisi capitalistica mondiale accelera, da un lato, la tendenza alla restaurazione capitalista, mentre la rende, dall’altra parte, più catastrofica. Abbiamo notato nell’isola forti tendenze alla discussione politica. La mancanza di libertà e dei diritti politici ostacola la capacità dei lavoratori di far fronte alla crisi in funzione dei propri interessi. La libertà sindacale e politica è una rivendicazione fondamentale per lottare per una soluzione socialista. Soprattutto, il destino della rivoluzione cubana è nelle mani (e sotto la responsabilità) dei lavoratori di tutta l’America Latina. 


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La sinistra rivoluzionaria ed il socialismo sono di fronte, in America Latina, ad una sfida storica. La bancarotta capitalista e l'esaurimento delle nuove esperienze nazionalistiche costituiscono il terreno storico potenziale del recupero delle forze del movimento rivoluzionario. Il compito attuale è, in primo luogo, discutere della caratterizzazione del momento storico attuale per sviluppare, contemporaneamente, un fronte unico continentale della sinistra rivoluzionaria. Non dobbiamo dimenticare, nemmeno per un istante, che le masse seguono, o sono ancora prigioniere dell'esperienza dei movimenti nazionalisti, che possono superare soltanto attraverso la propria esperienza, questo sempre che la sinistra rivoluzionaria intervenga in tale esperienza; ciò rende evidente il carattere di auto-proclamatorio e liquidazionista del propagandismo testimoniale. 
L'impasse più acuto della sinistra si manifesta in Venezuela, in cui una parte importante del movimento operaio vota un’opposizione "squallida", come falso mezzo di lotta contro la statalizzazione dei sindacati da parte chavismo. I nazionalisti sono molto coscienti dell'impatto devastante della crisi globale sulle proprie basi politiche. Di conseguenza, si presentano come "anti-aggiustamento" e anche come anticapitalisti mentre "aggiustano" e patteggiano con il grande capitale, in particolare, con il capitale minerario e con i grandi costruttori. Ricorrono, di fronte alla crisi, ad espropri isolati e ad un interventismo economico "sui generis", che la borghesia si aspetta siano episodici. Utilizzano questa risorsa per coprire, dal punto di vista ideologico, un’implacabile cooptazione del movimento operaio e delle organizzazioni sociali, che appoggerebbero, dicono, il "progetto nazionale". 
Non si tratta di opporre al “discorso” nazionalista il "discorso" socialista, con l’illusione di appoggiare da sinistra il bonapartismo nel governo, ma di denunciare i limiti della politica nazionalista e l'ipocrisia dei suoi discorsi per organizzare i settori operai più avanzati e, infine, le masse, per contendere al nazionalismo il potere politico. In questo contesto, lo sviluppo delle rivendicazioni operaie e popolari, stimolate dalla crisi globale, ed il naufragio dell’interventismo economico nazionalista, costituiscono uno strumento decisivo per mobilitare ed organizzare le masse influenzate dall'esperienza nazionalista. 


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Il golpe contro il presidente Lugo in Paraguay ha offerto delle lezioni crudeli, perché Lugo è stato sconfitto dai suoi stessi alleati politici. La sinistra paraguaiana ha seguito, sotto questo aspetto, l'esperienza brasiliana, anche se in maniera molto più degradata: Lugo prese come modello il governo Lula, ma mancava delle risorse politiche del PT, che si è alleato con la destra e la PMDB, e ricorse alla corruzione per mantenere quest’alleanza di governo (l’indennità mensile). Lula e Lugo hanno riprodotto la stessa alleanza con il grande capitale locale e con la vecchia politica. Questa politica rinvia anche all’esperienza cilena del dialogo democratico tra il PS e la Democrazia Cristiana. Si tratta di varianti di destra del "fronte popolare", storicamente promosso dallo stalinismo. 


Lo stesso vale, in una certa misura, per il Frente Amplio dell'Uruguay, in cui la frazione di Danilo Astori, legata al capitale finanziario, e ad alcuni funzionari del governo “bianchi”, costituiscono un’ estensione a destra del Frente Amplio. Il Frente Amplio dell'Uruguay, una forma più classica di fronte popolare, sta sviluppando un’esperienza politica di repressione contro il movimento operaio (militarizzazione degli scioperi operai, come nel caso, tra gli altri, degli scioperi dei funzionari municipali di Montevideo), con la collaborazione della maggioranza del gruppo dirigente del PIT-PNT, legata al Partito Comunista uruguaiano. Date le condizioni, la presenza di una frazione dei sindacati che si oppone alla politica ufficiale, offre la prospettiva di un'alternativa politica a partire dalla classe operaia. In piena crisi, nel caso del Cile, a causa della mobilitazione degli studenti, si sviluppa un nuovo tentativo di fronte populista guidato da Michelle Bachelet; in Paraguay, l’impasse del movimento operaio e contadino si manifesta nella mancanza d’indipendenza politica della sinistra rispetto alla leadership di Fernando Lugo, che è stato appena protagonista di un colossale fallimento politico che ha messo in evidenza la straordinaria incapacità di affrontare la destra golpista. La sinistra paraguaiana ha la responsabilità, in primo luogo, di formulare un programma che si opponga all’"integrazionismo" capitalista, difendendo la rivoluzione agraria ed il governo operaio e contadino. 


Non si può trascurare il ruolo reazionario di questi fronti popolari a livello internazionale. Il PT è stato l'architetto della conversione della candidatura alla presidenza del peruviano Ollanta Humala in un agenzia del capitale minerario e delle imprese di costruzione brasiliane, e anche in Venezuela, il PT tiene i piedi in due staffe, perché ha raccomandato la candidatura di Capriles, mentre proclamava il proprio sostegno ufficiale a Hugo Chavez. 
La prospettiva di uno spostamento rivoluzionario in America Latina pone acutamente nell'agenda politica la lotta per l'espulsione della burocrazia sindacale e l'indipendenza del movimento operaio. La strategia rivoluzionaria consiste, essenzialmente, in un’unione della sinistra rivoluzionaria con il movimento operaio. Ciò richiede un lavoro incessante nei sindacati esistenti; compreso lì dove la sinistra rivoluzionaria sta conquistando posizioni sindacali e raggruppando diversi sindacati, la parola d'ordine del fronte unico, rivolto ai sindacati tradizionali, è assolutamente fondamentale; da una parte, per garantire una lotta di massa contro governi capitalisti, e poi, per sviluppare una comune esperienza con i lavoratori organizzati in questi sindacati. 


Tra gli orrori delle guerre imperialiste contro i popoli dipendenti, che hanno già un carattere seriale, lo stesso imperialismo da impulso a processi democratico-elettorali, e giustifica anche le guerre per tale obiettivo. Non si può, tuttavia, considerare tutti i processi elettorali allo stesso livello, perché in molti paesi, e soprattutto in America Latina, emergono in misura significativa a seguito delle lotte delle masse contro le dittature imposte dall'imperialismo. I processi elettorali sono un vero rompicapo per la sinistra rivoluzionaria: alcune tendenze subordinano tutta la loro azione politica all'obiettivo di entrare in parlamento, come dimostrano le esperienze della Sinistra Unita e Proyecto Sur, in Argentina; altri hanno opposto alla lotta elettorale un falso operaismo o sindacalismo, che nasconde qualcosa di fondamentale: l'assenza di una lotta politica unitaria contro lo Stato ed i suoi partiti, che si esprime in primo luogo, nell’assenza di un programma e nel disprezzo della lotta legislativa e parlamentare. Considerano uguali riformismo e lotta parlamentare, quando ciò che distingue il riformismo è il suo compromesso strategico con lo Stato borghese. 


Questa impasse esprime il carattere strettamente sindacalista della sinistra rivoluzionaria, che concepisce la propria costruzione come un progressivo accumulo di forze in campo sindacale. Si tratta di un economicismo alla latinoamericana. Il lavoro socialista rivoluzionario, come metodo, deve consistere nella propaganda e nell'agitazione socialista in opposizione allo Stato capitalista ed ai suoi partiti. La campagna del Frente de Isquierda in Argentina, nel 2011, è stata una scuola di politica socialista in ambito elettorale. La partecipazione elettorale non deve essere un’interruzione del lavoro nei sindacati, ma la continuazione del compito strategico di propaganda e di agitazione e di formazione di tribuni operai e rivoluzionari in grado di sviluppare il programma rivoluzionario, in maniera pedagogica di fronte ai lavoratori ed agli sfruttati. La pseudo-democrazia borghese deve essere superata attraverso l'esperienza, non con le parole, anche nel suo stesso terreno. 


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Noi rifiutiamo l'installazione di nuove basi USA nel Chaco argentino e paraguaiano, e chiamiamo a rompere tutti gli accordi militari esistenti con l'imperialismo. 
Di fronte alla crisi, proponiamo: nessuna sospensione dal lavoro o licenziamento, la distribuzione delle ore di lavoro senza ridurre lo stipendio. E l’indicizzazione dei salari e delle pensioni in linea con l'inflazione. 


Di fronte al tentativo di irreggimentazione dei sindacati da parte dei governi nazionalisti, rivendichiamo la libertà della contrattazione collettiva e l’indipendenza dei sindacati. 

Denunciamo il ruolo della burocrazia sindacale integrata nello Stato e difendiamo la lotta per la piena democrazia sindacale ed un’alternativa classista. 


Spingiamo alla lotta per i diritti democratici, in particolare, in difesa del diritto illimitato di sciopero, e per il diritto all’organizzazione e all’espressione politica indipendente per i lavoratori e la gioventù. 


Cancellazione dei pagamenti del debito estero e del debito pubblico usuraio, con la protezione dei diritti dei piccoli risparmiatori. Completa nazionalizzazione delle banche, del commercio estero e delle imprese privatizzate, senza indennizzo e sotto controllo operaio. 


La nazionalizzazione di tutte le imprese sovvenzionate dallo Stato, l’apertura dei libri contabili, e la riorganizzazione finanziaria e industriale sotto la gestione dei lavoratori. 


La riforma agraria con esproprio senza indennizzo dei grandi proprietari terrieri e del grande capitale agro-alimentare. 


La nazionalizzazione degli idrocarburi e dei depositi minerali, di tutte le risorse naturali in America Latina senza indennizzo dei monopoli capitalistici. Espulsione delle cricche capitaliste dal direzione delle società interamente o parzialmente statali, per metterle sotto il controllo di gestione dei lavoratori. 


La crisi la paghino i capitalisti. Per l'unità socialista dell'America Latina e dei Caraibi, compresa Porto Rico.





Traduzione a cura della sezione Pcl Sassari


giovedì 1 novembre 2012

FERMIAMO LA PERSECUZIONE DI ŞIAR RIŞVANOĞLU STOP ALLA REPRESSIONE DELLA SOLIDARIETA' CON IL POPOLO CURDO


FERMIAMO LA PERSECUZIONE DI ŞIAR RIŞVANOĞLU

STOP ALLA REPRESSIONE DELLA SOLIDARIETA'
CON IL POPOLO CURDO

Non è sufficiente la negazione dei diritti del popolo Curdo, con l'attacco alle sue organizzazioni e con la carcerazione di migliaia di attivisti curdi per anni, persino prima della loro condanna, lo stato Turco sta anche cercando di intimidire gli intellettuali turchi e gli oppositori che dimostrano solidarietà con i Curdi.

Şiar Rişvanoğlu è l'ultimo di una lunga serie di intellettuali turchi e di socialisti minacciati da una sentenza che prevede la prigione, solo e semplicemente per aver dichiarato solidarietà con la lotta del popolo curdo per la libertà.

Egli è stato condannato a due anni e quattro mesi di prigione, per aver espresso le sue posizioni il primo maggio del 2010 alla TV ROJ, un canale con sede a Brussels, diretto dal movimento curdo in esilio.

La sentenza è stata decretata da una delle cosiddette “Corti di Assise con poteri speciali”, che sono semplicemente la continuazione sotto mentite spoglie delle famose Corti di Sicurezza Statale del passato. Il caso è ora di fronte alla Corte di Cassazione, la cui decisione renderà definitiva la sentenza.

Una delle assurdità della sentenza della corte, è la menzogna per cui Rişvanoğlu sia stato condannato per aver attuato “propaganda per l'organizzazione”, dove la parola organizzazione nel contesto sta per PKK, il Partito Operaio del Kurdistan, il partito che sta conducendo una guerra di guerriglia contro l'esercito turco dal 1984. Essendo un fondatore e portavoce di un altro partito, il Partito Operaio Rivoluzionario (DIP), un partito che ha chiaramente criticato la linea politica del PKK per tutta l'ultima decade, mentre allo stesso tempo ha difeso i diritti e le richieste del popolo Curdo, è assurdo che Rişvanoğlu sia accusato d'aver fatto propaganda per il PKK.


CHI E' ŞIAR RIŞVANOĞLU

Şiar Rişvanoğlu è avvocato, ha difeso molti imputati processati con l'accusa di “crimini d'opinione”, incluso il compianto attivista italiano Dino Frisullo, che fu perseguito dallo stato turco esattamente per le sue attività di solidarietà con il popolo Curdo.
Rişvanoğlu è anche stato consulente nel processo contro i responsabili dell'assassinio del noto attivista armeno, il giornalista Hrant Dink.  Gran parte della sua attività è legata alla difesa degli attivisti di base curdi. Scrive di questioni sociali, politiche e culturali ed ha pubblicato un gran numero di articoli per molti giornali e riviste, in particolare attorno alla questione curda.

Oltre al suo attivismo come avvocato e come editorialista, è anche uno dei fondatori e portavoce del Partito Operaio Rivoluzionario (DIP- Sezione turca del Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale - CRQI).  Alle elezioni amministrative nel 2009, Rişvanoğlu fu candidato di un'ampia alleanza di partiti e movimenti turchi e curdi per la carica di sindaco ad Adana, la quarta più grande città turca con oltre un milione e cinquecentomila abitanti, importante centro dell'industria meccanica e agroalimentare, dove raggiunse il 10% del voto popolare.