Dopo le massacranti riforme della pubblica istruzione, sotto il Governo Berlusconi, mediante i ddl Gelmini, il Governo Monti continua ad attaccare questo settore martoriato, con nuove tasse e nuovi tagli. Infatti con l'entrata in vigore della spending review, votata da PD\PDL\UDC, avremo un nuovo attacco al diritto allo studio con l'aumento delle tasse universitarie per tutti quei studenti fuori-corso oramai descritti impunemente "sfigati" dalla propaganda governativa.
Bisogna respingere questa vile ed infame ideologia, che fa del merito un metro di giudizio disuguale, che accentua le differenze fra le varie classi sociali che possono permettersi o meno una adeguata istruzione ed infine circoscrive alla classe dominante la formazione delle nuove classi dirigenti e dei futuri servitori del potere capitalistico. Per questo motivo, vi proponiamo il punto di vista di uno studente\lavoratore che potrà ben chiarire le innumerevoli difficoltà di questo mondo sfruttato.
Dal primo numero della rivista Vicolo Rosso
Intervistiamo Alessandro, uno studente-lavoratore iscritto all’università
“L’Orientale” di Napoli. Ci siamo concentrati, per questa nostra prima intervista,
sul caso di uno studente-lavoratore per tentare di mostrare le difficoltà a cui
va incontro un universitario che, non godendo di una situazione economica
familiare che gli consenta di fare dello studio l’attività principale della
propria giornata, è costretto a contribuire alle proprie spese universitarie
lavorando, con tutto quello che una tale condizione di vita comporta. Ciò
dimostra una volta di più quanto il concetto di “meritocrazia”, di cui tanto si
riempiono la bocca i politicanti borghesi, ma purtroppo ultimamente anche buona
parte (quella riformista) del movimento studentesco, sia sinonimo di
“ingiustizia sociale”. Non può esserci alcuna meritocrazia da premiare in una
società basata sullo sfruttamento e sulle diseguaglianze sociali, in cui sono
le condizioni economiche a spianare la strada a un giovane studente... o a
sbattergli la porta in faccia!
A quale corso di laurea sei iscritto
e soprattutto a che età ti sei iscritto all’università?
Sono iscritto al Corso di Laurea di “Civiltà
antiche e Archeologia” presso l’Istituto
Universitario l’Orientale di Napoli. Quando ho avuto possibilità di farlo avevo 24 anni.
A che età hai avuto, invece le tue
prime esperienze lavorative?
Avevo dodici anni e iniziai a lavorare in un Bar del mio quartiere: lo
chiamavano il “Bar della Nonna”, forse per l’ età della proprietaria. A
distanza di tempo mi viene da pensare che era definita Nonna perché SFRUTTAVA
nel suo bar i ragazzini del quartiere accogliendoli come dei nipoti. Non ci
pagava, dovevamo accontentarci delle mance,
bisognava aiutare la nonna a fare un pò di soldi!
Prima di iscriverti all’università,
come “istituto superiore”, hai frequentato il liceo (di qualsiasi tipo)?
Ho frequentato il Liceo Scientifico “Filippo Brunelleschi” di Afragola
(NA). I professori della scuola media consigliarono ai miei genitori di
iscrivermi ad un liceo; quello di Afragola era il più vicino e quindi il più
economico.
E come mai non hai seguito il
“classico” (ormai sempre meno “classico”) percorso post-liceale: l’entrata nel
mondo del lavoro solo dopo aver portato a compimento gli studi universitari?
Si parla di “classico”percorso post-liceale, ma le realtà socio-economiche
dei quartieri poveri situati nelle cittadine periferiche non permettono di
seguire i percorsi “classici”, o meglio, in questo tipo di contesto il percorso “classico” è diverso: se sei
fortunato e la tua famiglia cerca di sopravvivere onestamente allora il tuo
percorso da studente termina al raggiungimento dell’età dell’obbligo scolastico
e per non gravare sulla scarsa situazione economica entri nel mondo del lavoro
il prima possibile. Mio padre (pensionato) è analfabeta, mia mamma
(casalinga) ha conseguito la licenza
elementare, i miei due fratelli (operaio
edile e metalmeccanico) hanno conseguito la licenza media e da subito hanno seguito il percorso “classico” relativo
a queste realtà: entrare da subito nel mondo del lavoro. Essendo l’ultimo
figlio ho potuto usufruire dei sacrifici della mia famiglia e, grazie a loro,
ho potuto almeno completare il liceo. Di più non hanno potuto fare e una volta
finito il liceo non potevano più mantenermi. Così anch’io ho dovuto seguire il
percorso “classico” di questo tipo di realtà: lavorare. Ho avuto la fortuna
di trovare lavoro come operaio “addetto allo scavo archeologico” e la passione
per questo mondo mi ha spinto ad iscrivermi all’Università per tentare di
portare a compimento gli studi universitari parallelamente al lavoro.
L’università ha agevolato in qualche
modo il tuo percorso di studi vista la tua condizione di studente-lavoratore? O
meglio, l’isituzione universitaria ha fatto sì che tale condizione non
costituisse per te un ostacolo allo studio?
L’Istituzione Universitaria è composta da persone che, per la maggior
parte, sono figli di una realtà borghese molto diversa da quella da cui provengo,
abituati come dicevate voi a coloro che seguono un percorso post-liceale
“classico”. Questo li porta a pensare che coloro i quali sono al di fuori di
questo tipo di percorso non “meritano”, convinti che non vale la pena investire
sulla crescita intellettuale di chi studia lavorando o meglio di chi lavora per
studiare e preferiscono puntare su
coloro che possono concentrarsi alla sola attività di studio.
Attualmente lavori?
Disoccupato.
E’una tua scelta o rientri in quella
sempre più larga fascia di giovani alla perenne ricerce di un’occupazione (=
disoccupati)?
Fino a poco tempo fa lavoravo agli scavi archeologici di Piazza Municipio
(Napoli). Vi è stata una riduzione del personale e sono stato licenziato.
Parlaci allora delle tue precedenti
esperienze lavorative. Ad esempio: quali sono state le forme contrattuali di
cui hai goduto; quali sono state le modalità di lavoro (orari, turnazione,
condizioni di lavoro); come è stata sfruttata la tua competenza in campo
archeologico.
Lavoro da quando avevo dodici anni. Ho fatto: il barista, il cameriere
pizzaiolo, operaio in segheria, commesso di ferramenta, manovratore di mezzi
meccanici. Per questo tipo di lavori la forma contrattuale era quella del
lavoro nero, non vi erano orari e paghe determinate. Ho avuto una breve
parentesi come Portalettere di “Poste Italiane” e poi sono quasi dieci anni che
in maniera discontinua lavoro come operaio addetto allo scavo archeologico con
contratti a tempo determinato e qualche volta indeterminato (quando sono stato
licenziato ero a contratto a tempo indeterminato!). Normalmente si lavora dalle
7.00 alle 16.00, in situazioni particolari abbiamo fatto turnazione 06/14, 14/22
e lavorato di notte. La paga è sui € 1000/1100. Si lavora all’aperto, spesso in scavi di diversi metri di
profondità. D’inverno si gela, d’estate ci si infiamma. Si scava comunemente a
mano (piccone, pale e carriole) e ciò che si vede spesso nei documentari
(archeologi con trowel e pennellino che spolverano qualche frammento di ceramica)
è solo la fase finale di una procedura di scavo. Molto probabilmente quel
frammento viene da uno spesso strato di terra scavato con piccone e pala sotto
un sole cocente da un umile operaio.
La tua realtà lavorativa era
sindacalizzata? Quali erano le sigle sindacali presenti? Qual’è il tuo giudizio
in merito?
La realtà lavorativa degli scavi archeologici è legata al mondo
dell’edilizia pertanto sono presenti le più importanti sigle sindacali CGIL
CISL E UIL. Il mio giudizio in merito è
molto negativo. Inizialmente ero iscritto, adesso non più. Non facevano gli
interessi dei lavoratori, ma quelli dei sindacati, spesso legati a personaggi
politici di zona. I sindacati non di rado “costringevano” le diverse aziende ad
assumere personale non qualificato e poco produttivo tutelando solo chi portava
voti ai personaggi politici a loro legati, arrivando a compromessi con i
padroni per avere qualche assunzione di favore a discapito di chi come unica
raccomandazione aveva la propria professionalità. Il mio ultimo licenziamento è
stato determinato proprio da un meccanismo del genere.
Quanto ha negativamente influito
sullo studio l’enorme quantità di tempo dedicato alle attività lavorative?
Lavorare mi ha dato la possibilità di studiare e al contempo di aiutare
economicamente la mia famiglia. Naturalmente mi toglie tanto tempo, sono
iscritto da sei anni e non sono ancora laureato alla triennale! Svegliarsi alle
6 del mattino e dopo il lavoro provare a studiare riduce enormemente le
energie, spesso mi sono ritrovato a dormire sui libri. Se lavori non puoi
seguire i corsi e chi non segue, indipendentemente dalle sue ragioni, è spesso costretto a svolgere un programma
d’esame molto più vasto dei normali studenti.
Alla luce di quanto hai descritto,
permettici di dirti che secondo noi il concetto di “meritocrazia” nella società
capitalista è sinonimo di “ingiustizia sociale” perché, come la tua esperienza
dimostra, non può esserci alcuna meritocrazia nella nostra società, pervasa
com’è dalle diseguaglianze economiche degli individui. Qual’è la tua opinione?
Sono pienamente d’accordo. La meritocrazia mette, ad esempio, sullo stesso
piano il figlio di un imprenditore con il figlio di un operaio. Non tiene conto
delle difficoltà diverse che si è costretti ad affrontare in base alla propria
provenienza socio-economica. Ad esempio, ci sono realtà dove parlare non solo
il dialetto è una conquista importante, figuriamoci adeguarsi ai meccanismi
della meritocrazia che chiedono la conoscenza di due/tre lingue. La
“meritocrazia” è una forma di potere che non considera le variabili della
diseguaglianza economica e del contesto sociale d’appartenenza, tagliando fuori
i soggetti più deboli. Lo schema capitalista aveva stabilito che io non
“meritassi” nemmeno la possibilità di essere uno studente.
Vi saluto con una citazione che vuole essere una speranza di cambiamento e
di rivoluzione.
“… Il genio, e perfino il grande
talento, non sorgono da elementi intellettuali e raffinamenti sociali superiori
a quelli altrui, ma dalla facoltà di trasporli e di trasformarli … Così, i
creatori delle opere geniali non sono quelli che vivono nell’ambiente più
delicato, hanno la conversazione più brillante e la cultura più vasta, ma
quelli che hanno avuto la forza, smettendo bruscamente di vivere per se stessi,
di rendere la propria personalità simile a uno specchio di modo che vi si possa
riflettere la loro vita sociale e intellettuale mediocre, perché il talento
consiste nel potere riflettente, e non nella qualità intrinseca dello
spettacolo riflesso… “ - (Marcel
Proust, À l’ombre des jeunes filles en fleurs).