C’è un aspetto, certo non dei maggiori ma neppure trascurabile, del pensiero e dell’opera di Lenin che
resta sostanzialmente sconosciuto ai militanti, e anche alla maggioranza degli studiosi, e che invece
merita di essere recuperato e conosciuto, non per mero scrupolo storico ma per ragioni sostanziali.
Si tratta del contributo teorico e soprattutto pratico che il rivoluzionario russo ha dato nel campo
della politica dell’ambiente. Questo “Lenin sconosciuto” è una smentita di una certa rappresentazione
convenzionale che è stata data molte volte dell’uomo e del dirigente rivoluzionario come insensibile
a tutto ciò che non fosse lotta ideologica e azione immediata per il potere. Rappresenta anche la rivelazione
di una precoce e insospettata attenzione del potere dei soviet per i problemi ecologici, che proprio da
Lenin ebbe un significativo incoraggiamento, e la confutazione di diffusi luoghi comuni quali la cecità
del marxismo nei confronti della natura o l’inevitabile “fallimento ecologico” del socialismo. La ricostruzione di questa dimensione inedita del grande rivoluzionario russo ci consente inoltre di rispondere, con solidi argomenti e precisi riferimenti ai fatti storici, all’imputazione rivolta in anni recenti ai padri del marxismo, e segnatamente a Lenin, per il preteso “divorzio” fra il marxismo (e il socialismo) e l’ecologia, divorzio che
avrebbe contribuito agli esiti disastrosi sul terreno ambientale delle prime società post-capitalistiche e
che più in generale avrebbe provocato il ritardo con cui il movimento operaio è arrivato a fare i
conti teorici e pratici con la questione dell’ambiente. Come vedremo, è vero esattamente il contrario. Non solo Lenin, nel suo sforzo di analisi delle contraddizioni del capitalismo, manifestò fin dai primi anni del Novecento un’attenzione non comune per temi che oggi diremmo ecologici ma, una volta alla guida del potere sovietico, pur nelle condizioni estremamente sfavorevoli della guerra civile, si preoccupò di impostare
una strategia di protezione della natura e di gestione razionale delle risorse naturali che avrebbe dato per oltre un decennio risultati più che positivi. E che prefigurava la possibilità di un “socialismo ecologico” che non si è
tradotto nella realtà non per congeniti vizi ideologici del marxismo o del “leninismo”, come alcuni pretendono, ma per l’involuzione staliniana della Russia post-rivoluzionaria, nelle condizioni tremende create dalla degenerazione burocratica, dalla sconfitta della rivoluzione in Occidente e dall’isolamento internazionale del primo Stato operaio.
Lenin e la politica sovietica di protezione della natura
Fino a una ventina d’anni fa, in Occidente si conosceva ben poco della politica di protezione della
natura attuata nei primi anni del potere sovietico e gli studiosi occidentali giudicavano pura propaganda
le affermazioni degli storici sovietici che attribuivano a Lenin l’ispirazione di tale politica. Va aggiunto
che la disastrosa situazione dell’ambiente in Urss, venuta alla luce con l’incidente di Chernobyl e
con la crisi del regime burocratico, nonché note vicende di repressione politica contro studiosi di primo
piano, come il famigerato caso Lysenko-Vavilov negli anni quaranta, non incoraggiavano certo a pensare
all’Urss come a un modello nel campo dell’ecologia e delle politiche ambientali. Un quadro affatto diverso e una vicenda storica di estremo interesse, invece, è stata rivelata dagli studi dello storico americano Douglas
Robert Weiner che, approfittando delle aperture del periodo gorbacioviano, ha potuto condurre una
ricerca approfondita negli archivi sovietici riportando alla luce documenti originali da decenni interdetti
anche agli studiosi sovietici . La ricerca di Weiner non solo ha confermato il ruolo diretto svolto
da Lenin nella promozione delle politiche ambientali del potere sovietico ma ha altresì consentito di apprezzarne il valore intrinseco e di comprendere un dato storico fondamentale: l’impulso e l’ispirazione
di Lenin hanno consentito all’ecologia e alla conservazione della natura di sperimentare in Urss un periodo di progressi e di risultati straordinari, all’avanguardia a livello mondiale, per tutti gli anni venti. In seguito, il rovesciamento quella ispirazione, che comincia bruscamente all’inizio degli anni trenta nel quadro delle complessiva stalinizzazione del paese, ha comportato un drammatico arretramento dell’autonomia degli
studiosi, l’emarginazione di idee e impostazioni d’avanguardia sul terreno delle relazioni economiaambiente
e una drastica perdita di efficacia delle politiche ambientali. Di qui il disastro ecologico che accompagna
nei decenni successivi l’impetuoso ma irrazionale sviluppo industriale dell’Urss staliniana e che prolunga le sue conseguenze fino alla crisi del regime burocratico negli anni ottanta. Il movimento per la protezione
della natura aveva mosso i primi passi in Russia già prima della guerra, sulla scia dei paesi occidentali
più avanzati in questo campo, Stati Uniti e Germania in particolare. Gli studiosi russi avevano
avanzato idee d’avanguardia sulla protezione della natura e proposto un piano di parchi naturali, rimasto ovviamente senza seguito. Non c’è dunque da stupirsi se anche fra i conservazionisti prevaleva l’opinione che la Russia avesse bisogno di urgenti e radicali mutamenti politici e sociali . La caduta dello zar fu perciò
accolta con favore e nei mesi che seguirono la rivoluzione del febbraio 1917 sorsero nei maggiori centri del paese nuove società geografiche e naturalistiche . Tuttavia, al momento della presa del potere da parte dei bolscevichi, le simpatie nei loro confronti erano scarse. Osserva Weiner che l’approccio del partito
di Lenin nei confronti della conservazione era un’“incognita politica”. In effetti, il partito bolscevico
non aveva mai discusso in precedenza e adottato una chiara posizione in materia. Anche per questo la posizione personale di Lenin assumeva un’importanza decisiva. Benché anch’egli non avesse mai affrontato in modo organico e complessivo i temi dell’ambiente, fra i dirigenti bolscevichi Lenin era uno dei più consapevoli in materia (vedremo più avanti alcuni suoi scritti degli inizi del secolo). In lui la convinzione circa l’urgenza di incrementare le forze produttive del paese si accompagnava a una chiara consapevolezza della
necessità di rispettare le leggi naturali. L’obiettivo dell’efficienza nella gestione dell’economia socialista
includeva, e non ignorava, l’esigenza di una gestione accorta delle risorse naturali e della loro preservazione e quella del rispetto delle leggi ecologiche, come si può vedere in questo passo tratto dall’indirizzo ai delegati comunisti del Consiglio centrale panrusso dei sindacati dell’aprile 1919: “Per proteggere le fonti delle nostre risorse dobbiamo agire in accordo con le leggi scientifico-tecniche. Per esempio, trattando del rendimento delle nostre foreste, dobbiamo stare attenti che l’industria forestale agisca correttamente. Trattando del petrolio, dobbiamo attrezzarci per prevenire gli sprechi. E’ necessario necessario insomma sforzarsi di applicare le leggi scientifico-tecniche e un criterio di sfruttamento razionale.” Questa consapevolezza – e la percezione realistica dell’arretratezza della Russia in cui, all’indomani della conquista del potere da parte degli operai, prevalevano le sterminate masse contadine e la gretta burocrazia statale ereditata dallo zarismo – rafforzavano in Lenin la radicata convinzione che la nuova Russia doveva far tesoro della migliore
eredità culturale e scientifica della borghesia, per cui era necessario cercare un’intesa con il mondo
accademico e con gli “specialisti” borghesi disponibili a collaborare e, più in generale, promuovere con ogni mezzo lo sviluppo delle scienze teoriche e applicate per elevare il livello culturale e quello tecnologico del paese e creare le condizioni per un rapido incremento della produttività . Guidato da queste convinzioni,
nell’aprile del 1918 Lenin concludeva l’accordo con l’Accademia delle scienze: il governo sovietico
riconosceva l’autonomia delle istituzioni scientifiche e universitarie in cambio della loro leale collaborazione
con il nuovo potere. Con lo stesso spirito, ma forse con la percezione di un’urgenza particolare, lavorava per la collaborazione con gli esponenti delle scienze della natura e dei circoli conservazionisti. Sono molte le testimonianze di contemporanei che attestano una particolare sensibilità di Lenin per i problemi di protezione della natura . Sappiamo che nelle settimane trascorse a nascondersi dopo “le giornate di luglio” del 1917, egli lesse alcune opere di argomento ecologico. Weiner ricorda anche qualche aneddoto della vita privata di Lenin che testimonia la sua sensibilità naturalistica: la passione giovanile per la pesca e le escursioni lungo il fiume Svijaga presso Simbirsk e, più tardi, sulle alture lungo il Volga a Zhiguli; le escursioni con la moglie Krupskaja sulle Alpi, sui Giura e sui Tatra, durante l’esilio in Europa occidentale; la sua netta preferenza, in materia di tempo libero, per il partito dei “progulisty” (i naturalisti) contro i “kinemasty” (i cinefili). Abitudini conservate, per quanto possibile, anche durante gli anni frenetici del potere . Ben più importanti sono, naturalmente, le azioni politiche concrete. E qui è significativo il fatto che le prime leggi sovietiche di protezione della natura portano tutte la firma di Lenin, e non certo per un mero fatto burocratico . Dopo il decreto “sulla terra”, dei primi giorni della rivoluzione, che mise nelle mani dello Stato tutte le risorse naturali, sottraendole allo sfruttamento dei privati e creando le premesse per una loro gestione
razionale, due sono i momenti salienti dell’avvio della politica sovietica nel campo dell’ambiente. Ed
entrambi portano l’impronta di Lenin. Il primo, già menzionato, fu l’accordo fra il governo sovietico, nella
persona del Commissario del popolo all’istruzione Anatolij Vasilevic Lunaciarskij, e l’Accademia
delle scienze, con il quale il potere sovietico riconosceva l’autonomia delle istituzioni accademiche e
scientifiche in cambio dell’impegno a una leale collaborazione. Si tenga presente che l’orientamento
ideologico dei leader dell’Accademia era tutt’altro che favorevole ai bolscevichi (e alle tendenze socialiste
in generale). Ciò nondimeno, l’accordo ridusse la conflittualità e rese possibile una collaborazione
che diede nel tempo frutti importantissimi, soprattutto dopo la fine della guerra civile. Come vedremo
più avanti, l’ecologia e le scienze naturali in generale beneficeranno in modo particolare di questo quadro favorevole. Il secondo evento è meno noto. Si tratta dell’incontro del gennaio 1919 fra Lenin e Nikolaj Nikolaevic Podiapolskij, agronomo bolscevico di Astrakan, città nella regione del Volga, incontro che segna il punto di partenza della politica sovietica di tutela della natura. Vale la pena di riferire estesamente l’episodio così come lo racconta Douglas Weiner. In quei giorni il governo sovietico era impegnato in una battaglia di vita o di morte contro l’armata del generale “bianco” Kolciak che aveva superato gli Urali e minacciava il cuore del territorio “rosso”. Malgrado la difficile situazione, il 16 gennaio Lenin trova il tempo,
su sollecitazione di Lunaciarskij, di ricevere al Cremlino Nikolaj Podiapolskij, responsabile del Commissariato del popolo all’istruzione ad Astrakan, giunto a Mosca per perorare due proposte: aprire una
università nella sua città e istituire una riserva naturale (zapovednik, in russo) nel delta del Volga (essa
sarà in effetti la prima area naturale protetta istituita dal potere sovietico, l’11 aprile 1919). Racconterà più tardi Podiapolskij che, dopo averlo ascoltato e “dopo avermi fatto qualche domanda sulla situazione militare e politica della regione di Astrakan, Vladimir Ilic diede la sua approvazione a tutte le nostre iniziative e in particolare a quella che riguardava il progetto di zapovednik. Dichiarò che la causa della conservazione
era importante non solo per la regione di Astrakan, ma altrettanto per l’intera repubblica, e che egli
la considerava una priorità urgente.” Lenin propose pertanto a Podiapolskij di elaborare subito un
progetto di legge sulla conservazione da applicare a tutto il paese. Costui, già il giorno successivo, dopo aver lavorato freneticamente con l’aiuto di alcuni legali e di alcuni attivisti di Mosca, consegnò il testo per il parere di Lenin e, con sua grande sorpresa, lo ricevette indietro nella giornata stessa corredato dalle osservazioni del capo del governo. Successivamente il provvedimento venne inviato per l’approvazione definitiva al Commissariato del popolo all’istruzione. Non si trattò di una scelta casuale. Con acuta lungimiranza, Lenin voleva che la responsabilità per la protezione della natura fosse affidata a un organismo senza interessi diretti
nello sfruttamento delle risorse naturali per garantirgli il massimo di autonomia e di efficacia nell’espletamento dei suoi scopi istituzionali. “Una scelta molto oculata”, osserva Weiner, carica di conseguenze positive. Dopo aver superato vari ostacoli burocratici, sollevati non a caso dai “ministeri” economici, con un ritardo
di due anni, il 16 settembre 1921 il decreto “Sulla protezione dei monumenti della natura, i giardini e i parchi”, firmato personalmente da Lenin, divenne legge dello Stato. Punto qualificante: l’attribuzione
al Commissariato all’istruzione delle competenze in materia di protezione della natura e della facoltà di istituire parchi nazionali (zapovedniki) in qualsiasi parte del territorio della nazione giudicato di particolare valore ambientale, scientifico o storico-culturale. Nei parchi nazionali, inoltre, veniva proibita ogni attività economica (caccia, pesca, prelievo di uova o di piante, ecc.) non espressamente autorizzata. Un secondo risultato dell’incontro del gennaio 1919 fu la creazione nella primavera dello stesso anno della Commissione provvisoria per la conservazione, in seguito ribattezzata Comitato scientifico o Comitato statale per la protezione dei monumenti della natura, con alcuni tra i più noti accademici e scienziati russi, come il geografo
Anuchin, il mineralogista Fersman, gli zoologi Kots e Ognev, gli ecologi Severtsov, Kozhevnikov e Zhitkov.
A capo della Commissione venne posto l’astronomo bolscevico Vagran Tigran Ter-Oganesov.
Una delle prime realizzazioni di questo organismo fu l’istituzione del primo parco nazionale della Russia sovietica, l’Ilmenskij zapovednik, nella regione di Miass negli Urali meridionali . Il decreto istitutivo venne firmato da Lenin il 4 maggio 1920. In conclusione, la presenza e l’intervento di Lenin nell’avvio della
politica sovietica di protezione della natura rivestirono un ruolo molto importante se non decisivo. Il punto qualificante degli atti legislativi che si susseguirono fra il ’19 e il ’21 fu l’attribuzione al Commissariato
del popolo all’istruzione (Narkompros) delle competenze non solo della gestione dei parchi nazionali ma dell’intera politica di conservazione. Questa attribuzione fu tutt’altro che scontata e tranquilla. Viceversa, fu fonte di ricorrenti conflitti interburocratic con il Commissariato all’agricoltura (Narkomzem) che a più riprese
reclamerà a sé la gestione delle aree protette per poterle sfruttare economicamente. Senza riuscirci, almeno fino al 1934. Poi, come per il resto dell’Unione sovietica, la musica cambierà. “Fortunatamente, il periodo di Lenin aveva lasciato solide fondamenta su cui costruire”, è il giudizio finale di Weiner, con cui non si può non
consentire .
Lenin, Bogdanov e l’ecologia
Anche se il ruolo di Lenin nell’avvio di una avanzata politica sovietica dell’ambiente è ormai, dopo le ricerche di Weiner, un fatto storicamente accertato, non è mancato chi in anni recenti ha voluto interpretare in modo affatto diverso non tanto l’opera (che è fuori discussione) quanto la “filosofia” di Lenin in relazione alla ricezione dell’ambientalismo in Urss e più in generale nel marxismo. Si segnalano in questo senso i saggi di
due studiosi che hanno la pretesa di definirsi “ecosocialisti”: Juan Martinez-Alier, che non era al corrente
dell’opera di Weiner quando ha formulato la sua tesi; e Arran Gare, che invece utilizza in modo a dir poco discutibile, parziale e tendenzioso le ricerche di Weiner . Juan Martinez-Alier in Ecological Economics, un lavoro del 1987 per altri aspetti originale e pregevole, mette sotto accusa Lenin per la polemica filosofica condotta in Materialismo e empiriocriticismo contro Aleksander Bogdanov e i “machisti” russi. Egli vede un rapporto di causalità fra la posizione critica di Lenin nei confronti dell’“energetismo” di Wilhelm Ostwald e della sua versione russa e “marxista” di Bogdanov e l’asserita
“insensibilità” del marxismo nei riguardi delle problematiche ecologiche e in particolare della dimensione
energetico-entropica dei processi produttivi . Arriva ad affermare che, attaccando Bogdanov, che
aveva suggerito una connessione fra disponibilità di energia e forze produttive, Lenin si sarebbe spinto
“quasi a respingere lo stesso concetto di energia”. La critica di Lenin a Bogdanov e a Ostwald, inoltre,
sarebbe stata una vera “iattura” perché con essa “la nube del sospetto leniniano... si addensò intorno
al concetto di energia, e ancor più all’energetica sociale” . Di queste pesanti affermazioni di
Martinez-Alier c’è sostanzialmente una sola cosa da dire: sono l’opposto della realtà. Per un verso
egli travisa malamente la posizione di Lenin sull’energia e sull’energetismo. Per un altro, il suo giudizio
sul valore e il significato di quest’ultima corrente filosofica è fortemente squilibrato. In ogni caso, è storicamente infondato il ruolo che egli attribuisce a questo scritto di Lenin e alle posizioni in
esso sostenute. In Materialismo ed empiriocriticismo Lenin non si sogna affatto di negare il concetto
di energia; anzi, in via d’ipotesi egli non rifiuta neppure la possibilità di fare dell’energia, invece che degli atomi, il concetto base per l’interpretazione del mondo fisico; per Lenin questo è un problema empirico che va lasciato interamente agli sviluppi della ricerca scientifica. Ciò a cui si oppone è l’interpretazione in
chiave idealistica di questa sostituzione, come se la “scomparsa della materia” (ossia la crisi della
nozione meccanicistica di materia invalsa fino ad allora nella fisica) comportasse la scomparsa del mondo oggettivo; e come se quello di energia non fosse anch’esso un concetto materialistico. La questione è discussa con chiarezza nel quinto capitolo intitolato “La rivoluzione moderna nelle scienze naturali
e l’idealismo filosofico”, dove si esamina l’affermazione di alcuni fisici secondo cui le ultime scoperte
della fisica (in particolare la scoperta dell’elettrone e della divisibilità dell’atomo) avrebbero comportato la “scomparsa della materia”. Lenin non ha problemi ad ammettere tale affermazione, se essa riguarda i modelli di interpretazione del mondo fisico. Cosa diversa è attribuire ad essa un valore ontologico per negare
la realtà del mondo obiettivo, come fanno invece Mach e Avenarius, più confusamente Ostwald e, più ambiguamente, Bogdanov . Nel sesto capitolo, “Empiriocriticismo e materialismo storico”, Lenin
prende in esame l’energetica sociale, o per dir meglio la revisione bogdanoviana del materialismo
storico. Anche qui, la sua critica non è rivolta all’energetica come tale, ma all’applicazione esteriore, pasticciata e confusa della terminologia “energetica” al materialismo storico, ciò che contribuisce a confondere le idee piuttosto che a portare un arricchimento analitico reale . Partendo dalle tesi di Martinez-Allier, Arran Gare, ha cercato di trovare la chiave di spiegazione storica della vicenda dell’ambientalismo sovietico . Egli collega lo sviluppo dell’ambientalismo a Bogdanov e alle sue idee in campo filosofico (l’energetismo) e sociale (il Proletkult) e stabilisce invece un nesso di continuità fra Lenin
e Stalin. Mentre il materialismo e il centralismo di Lenin sono responsabili, per Gare, del modello
di socialismo ultra-industrialista e antiecologico prevalso sotto Stalin, all’approccio di Bogdanov viene
invece attribuita la paternità di una “via alternativa” la cui sconfitta avrebbe avuto per l’Urss e per
il socialismo le ben note conseguenze. L’esposizione fatta da Gare di alcuni aspetti poco noti del pensiero
e dell’opera di Bogdanov è interessante ma non dimostra affatto la sua tesi. Il procedimento di Gare consiste nel sovrapporre alla vicenda storica una lettura ideologica precostituita volta a “dimostrare” una causalità ideale che, per il resto, non è confortata da nessun elemento di fatto. In Gare, l’unica parvenza di un argomento storico è la concomitanza fra la fioritura dell’ecologia e la parallela esistenza del Proletkult, il
movimento di “cultura proletaria” ispirato da Bogdanov. Ma è difficile, o meglio impossibile, vedere
una qualsiasi affinità, per non dire un rapporto di causalità, fra i due fenomeni . In breve, le interpretazioni di Juan Martinez-Alier e di Arran Gare non stanno in piedi. Se da un lato travisano completamente il senso della posizione di Lenin, attribuendo invece a quella di Bogdanov un significato che storicamente non ha avuto, dall’altro sono smentite in concreto dalla verifica storica a cui, dopo l’Ottobre 1917, vennero sottoposti tanto gli uomini quanto le idee che furono al centro di quella polemica filosofica. Il “materialismo” non solo non impedì ma semmai motivò l’impegno di Lenin a favore delle scienze naturali, dell’ecologia e
di una politica di conservazione della natura. Il rifiuto dell’“energetismo” filosofico, d’altra parte,
non gli impedì di giudicare fondamentale e prioritario per sviluppo economico e socialista del paese lo sforzo per l’elettrificazione (sintetizzato anche in uno slogan famoso: “Il socialismo è uguale ai soviet
più l’elettrificazione”). Per altro, il già “bogdanoviano” Lunaciarskij – ma “trotskista” nel 1917 – ebbe dal “materialista” Lenin non solo l’incarico di Commissario del popolo all’istruzione ma, proprio in virtù di quel ruolo, ebbe anche il compito di occuparsi della protezione della natura che Lenin volle, con sguardo lungimirante, sottratta all’influenza dei dicasteri coinvolti direttamente nello sforzo economico. In questo
compito delicato Lunaciarskij ricevette da Lenin il massimo appoggio per l’adozione di misure d’avanguardia a favore della conservazione e della ricerca ecologica. Ancora: nei conflitti ideologici che presero forma nella seconda metà degli anni venti furono i “materialisti dialettici” del gruppo di Deborin coloro che seppero
meglio dialogare in modo fecondo con le scienze naturali e con l’ecologia . Viceversa, un motivo tipicamente “bogdanoviano” – la contrapposizione di una pretesa “scienza proletaria” alla “scienza borghese”– divenne all’inizio degli anni trenta il tema portante dei normalizzalatori staliniani, protagonisti prima dell’attacco all’ecologia e alla conservazione e, più tardi, dell’assalto alla genetica mendelliana.
In conclusione: le posizioni filosofiche che si scontrarono nel dibattito del primo decennio del secolo
sull’empiriocriticismo non solo non offrono una chiave di spiegazione della liquidazione da parte di Stalin,
due decenni dopo, dell’ecologia e dell’ambientalismo in Urss, ma neppure gettano una qualsiasi luce sul tema sollevato da Martinez- Alier, ossia le ragioni del “divorzio” intercorso fra il marxismo e l’ecologia. Nello specifico, è del tutto infondata l’individuazione di una responsabilità “filosofica” di Lenin in tal senso. Occorre cercare in tutt’altra direzione. Al contrario di quanto pretendono Juan Martinez-Alier e Arran Gare, è lecito affermare invece che, non solo Lenin possedeva una chiara percezione dell’esistenza di problemi ecologici, ma la sua posizione politico-filosofica lo predisponeva a comprenderne la rilevanza. Lo si può ricavare
da un esame più ampio dei suoi scritti filosofici, esteso ad esempio ai Quaderni filosofici , e soprattutto
da alcuni saggi dei primi anni del Novecento, raccolti in volume col titolo La questione agraria e i “critici di Marx”, in cui sono esplicitamente trattati alcuni temi ecologici di rilievo, come il degrado dei suoli ad opera delle tecniche capitalistiche di coltivazione o l’antagonismo fra città e campagna, e dove Lenin ci ha lasciato le sue opinioni sul modo in cui il socialismo avrebbe dovuto affrontare tali questioni.
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