giovedì 7 giugno 2012

Fincantieri ed il business dell’offshore

[Dossier]
Fincantieri ed il business dell’offshore


L’ultimo accordo siglato da Fincantieri con una società specializzata nello sviluppo di costruzioni per il mercato delle perforazioni offshore, la NLI, rappresenta un ulteriore dimostrazione dell’intenzione da parte del capitalismo italiano di perpetuare lo spostamento verso nuove frontiere geografiche, allo scopo di incrementare margini di espansione profitto.

Questa apertura, verso il mercato (redditizio) dell’offshore, ossia delle grandi piattaforme oceaniche, è indice della crisi che investe la cantieristica navale la quale, da un bel po’di tempo, in Italia, sopravvive esclusivamente grazie alle commesse per armatori militari e crocieristica di lusso.

La storia di questi ultimi decenni ci racconta come i cantieri europei abbiano ben capito che la concorrenza con i grandi colossi asiatici sia pressoché impossibile ed insostenibile nel settore  delle cosiddette “carrette del mare” (petroliere, rinfusiere, portaconteiner), visto che i complessi cantieristici navali d’Asia possono contare su una manodopera largamente sottopagata e sfruttata che lavora in assenza di diritti. Per questo motivo tutto l’interesse si è concentrato in settori molto più redditizi, uno dei quali è stato la crocieristica di lusso, dove Fincantieri vanta una grossa fetta nel mercato europeo col gruppo Carnival (brand “P&O Cruises” e brand “Costa Crociere”) e col gruppo Du Ponant.

Il settore ovviamente risente della crisi economica globale, perlopiù aggravata dai vari incidenti delle navi Costa nel mondo (in particolare il naufragio della Costa Concordia presso l’Isola del Giglio): si contano già dimezzamenti degli ordinativi rispetto ai tempi d’oro e il quasi azzeramento dei volumi per il settore traghetti. In merito, sono eloquenti le constatazioni dello stesso a.d. di Fincantieri Giuseppe Bono di Fincantieri: «Ancora oggi non abbiamo sicurezze sul nostro futuro. Quello che ci serve è una nuova “gamba” per competere con i grandi colossi mondiali con cui ci dobbiamo confrontare. Una nuova gamba oltre a militare, crociere, megayacht. Recentemente abbiamo perso un ordine per una nave da crociera andata a Mitsubishi. La nostra era l’offerta migliore tra i cantieri europei, ma loro ci hanno sopravanzato con una proposta economicamente più vantaggiosa del 30%. Mitsubishi è un colosso, ma in futuro ci dovremo confrontare con altri big come Hyundai, Samsung»*

Il tentativo di riscatto della borghesia italiana non si è fatto attendere: lo scorso Aprile sono stati battuti i franco-coreani di Stx-France nell’acquisizione di due navi (più un’opzione sulla terza) per Viking Ocean Cruises, riguardante  il segmento del mercato extra-lusso di piccole dimensioni. Tutto per un valore della commessa stimata intorno ai 300 milioni di euro** per ogni nave conseguita nel rispetto degli ordini, la prima a fine 2014 e la seconda a fine 2015.

Ovviamente tali commesse porteranno lavoro soltanto agli stabilimenti specializzati in questo settore (la crocieristica di lusso), che attualmente vede in ballo 3 papabili cantieri a secco di commesse: Sestri, Ancona e Marghera. Gli altri staranno molto probabilmente a guardare non avendo esperienza in tal campo.

Del resto la nuova “gamba”, profetizzata da Bono, passerebbe attraverso acquisizioni di nuove partnership internazionali nel campo dell’offshore, unico settore a non avere per ora risentito dei colpi della crisi. Non a caso Fincantieri sta trattando l’acquisizione di Stx Osv, società con sede in Norvegia ed appartenente al gruppo coreano Stx, specializzata nel settore delle navi a supporto delle piattaforme petrolifere e dismessa dalla casa madre per motivi di forte esposizione all’indebitamento. Questo gioiello europeo, messo in vendita per un valore di 800 milioni di euro, lo scorso anno ha ottenuto ordini per 1,9 miliardi di dollari disponendo, inoltre, di un  portafoglio completo che vale 2,8 miliardi, con consegne previste fino al 2016 nel settore dell’offshore, il quale, a dire degli esperti, nei prossimi cinque anni dovrebbe garantire 232 miliardi dollari di investimenti da parte delle grandi compagnie multinazionali che si occupano di esplorazione dei fondali ed estrazione del petrolio.

L’offerta presentata da Fincantieri, insieme ad uno dei più grandi fondi di “private equity” (Carlyle), dotato di grandi disponibilità liquide e da cui Fincantieri dipenderebbe per le linee del credito, è stata supervisionata dalle consulenze di grandi istituti finanziari internazionali come Jp Morgan, Standard Chartered, Nomura e Credit Swisse.

Tutto lascerebbe presagire che l’evoluzione delle dinamiche interne costituiscano un forte rischio per i lavoratori Fincantieri e per coloro che lavorano nell’indotto. La certezza della chiusura di vari stabilimenti, dettata dall’accordo del Dicembre 2011 firmato da parti istituzionali, azienda e sindacati confederali (Cisl, Uil, Failms, Ugl) a fronte degli insormontabili costi dei piani di ristrutturazione (vedesi il Protocollo di Intesa per Castellammare di Stabia), ha portato Fincantieri a concentrare le proprie attività all’estero, stipulando nuove partnership internazionali con:
·       gli Stati Uniti: 715 milioni di euro per il progetto militare U.S. Navy LCS (Litoral Combat Schips) e 250 unità  per la Guardia Costiera statunitense per un ammontare che si aggira intorno ai 600 milioni di euro;
·       gli Emirati Arabi Uniti: realizzazione per la Marina emiratina di tre unità, cioè una corvetta classe «Abu Dhabi» e due pattugliatori;
·       l’Algeria e la Repubblica Dominicana, per quanto riguarda commesse minori.

Ovviamente il processo di internazionalizzazione avviato da tempo dalla Fincantieri è volto a garantire il futuro non dei suoi lavoratori (il loro destino è quello degli esuberi e della mobilità) ma del capitalismo italiano che sta fortemente spingendo in questa direzione.

In conclusione, è importante notare e soprattutto far notare a tutti i lavoratori in cassa integrazione che Fincantieri ha chiuso il 2011 con un bilancio in attivo di 2,4 miliardi di euro, vantando una solida struttura patrimoniale e finanziaria ed un utile di gestione di 227 milioni di euro. Inoltre i vertici aziendali non escludono una futura quotazione in Borsa***, ovviamente finalizzata all’accumulazione di capitale ed alla speculazione sui mercati finanziari, dove vige sempre la parola d’ordine del capitalismo: “profitto”.


* fonte: Il Secolo XIX

** Il Sole 24 Ore  20 Aprile 2012

*** Il raffreddamento dell’operazione per la quotazione in Borsa di Fincantieri fu dovuta sostanzialmente sia alla cattiva congiuntura economica  e sia alla forte ostilità dei sindacati nel biennio 2006/2008. Ma, in questi giorni, dell’a.d.  Bono è ritornato alla carica sull’argomento dichiarando: «bisogna ricreare le condizioni, e noi in un futuro - speriamo anche prossimo - una volta realizzate alcune iniziative su cui stiamo lavorando, pensiamo che la strada sia quella» (fonte: Il Secolo XIX.)

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