[Dossier]
Fincantieri
ed il business dell’offshore
L’ultimo accordo
siglato da Fincantieri con una società specializzata nello sviluppo di costruzioni
per il mercato delle perforazioni offshore, la NLI, rappresenta un ulteriore
dimostrazione dell’intenzione da parte del capitalismo italiano di perpetuare
lo spostamento verso nuove frontiere geografiche, allo scopo di incrementare margini
di espansione profitto.
Questa apertura, verso
il mercato (redditizio) dell’offshore, ossia delle grandi piattaforme
oceaniche, è indice della crisi che investe la cantieristica navale la quale,
da un bel po’di tempo, in Italia, sopravvive esclusivamente grazie alle commesse
per armatori militari e crocieristica di lusso.
La storia di questi
ultimi decenni ci racconta come i cantieri europei abbiano ben capito che la
concorrenza con i grandi colossi asiatici sia pressoché impossibile ed
insostenibile nel settore delle
cosiddette “carrette del mare” (petroliere, rinfusiere, portaconteiner), visto
che i complessi cantieristici navali d’Asia possono contare su una manodopera
largamente sottopagata e sfruttata che lavora in assenza di diritti. Per questo
motivo tutto l’interesse si è concentrato in settori molto più redditizi, uno
dei quali è stato la crocieristica di lusso, dove Fincantieri vanta una grossa fetta
nel mercato europeo col gruppo Carnival (brand “P&O Cruises” e brand “Costa Crociere”) e col
gruppo Du Ponant.
Il settore ovviamente
risente della crisi economica globale, perlopiù aggravata dai vari incidenti delle
navi Costa nel mondo (in particolare il naufragio della Costa Concordia presso
l’Isola del Giglio): si contano già dimezzamenti degli ordinativi rispetto ai tempi
d’oro e il quasi azzeramento dei volumi per il settore traghetti. In merito,
sono eloquenti le constatazioni dello stesso a.d. di Fincantieri Giuseppe Bono
di Fincantieri: «Ancora oggi non abbiamo
sicurezze sul nostro futuro. Quello che ci serve è una nuova “gamba” per
competere con i grandi colossi mondiali con cui ci dobbiamo confrontare. Una
nuova gamba oltre a militare, crociere, megayacht. Recentemente abbiamo perso
un ordine per una nave da crociera andata a Mitsubishi. La nostra era l’offerta
migliore tra i cantieri europei, ma loro ci hanno sopravanzato con una proposta
economicamente più vantaggiosa del 30%. Mitsubishi è un colosso, ma in futuro
ci dovremo confrontare con altri big come Hyundai, Samsung»*
Il tentativo di riscatto
della borghesia italiana non si è fatto attendere: lo scorso Aprile sono stati battuti
i franco-coreani di Stx-France nell’acquisizione di due navi (più un’opzione
sulla terza) per Viking Ocean Cruises, riguardante il segmento del mercato extra-lusso di piccole
dimensioni. Tutto per un valore della commessa stimata intorno ai 300 milioni
di euro** per ogni nave conseguita nel rispetto degli ordini, la prima a fine
2014 e la seconda a fine 2015.
Ovviamente tali
commesse porteranno lavoro soltanto agli stabilimenti specializzati in questo
settore (la crocieristica di lusso), che attualmente vede in ballo 3 papabili cantieri
a secco di commesse: Sestri, Ancona e Marghera. Gli altri staranno molto
probabilmente a guardare non avendo esperienza in tal campo.
Del resto la nuova
“gamba”, profetizzata da Bono, passerebbe attraverso acquisizioni di nuove
partnership internazionali nel campo dell’offshore, unico settore a non avere per
ora risentito dei colpi della crisi. Non a caso Fincantieri sta trattando
l’acquisizione di Stx Osv, società con sede in Norvegia ed appartenente al
gruppo coreano Stx, specializzata nel settore delle navi a supporto delle
piattaforme petrolifere e dismessa dalla casa madre per motivi di forte
esposizione all’indebitamento. Questo gioiello europeo, messo in vendita per un
valore di 800 milioni di euro, lo scorso anno ha ottenuto ordini per 1,9
miliardi di dollari disponendo, inoltre, di un portafoglio completo che vale 2,8 miliardi,
con consegne previste fino al 2016 nel settore dell’offshore, il quale, a dire
degli esperti, nei prossimi cinque anni dovrebbe garantire 232 miliardi dollari
di investimenti da parte delle grandi compagnie multinazionali che si occupano
di esplorazione dei fondali ed estrazione del petrolio.
L’offerta presentata da
Fincantieri, insieme ad uno dei più grandi fondi di “private equity” (Carlyle),
dotato di grandi disponibilità liquide e da cui Fincantieri dipenderebbe per le
linee del credito, è stata supervisionata dalle consulenze di grandi istituti
finanziari internazionali come Jp Morgan, Standard Chartered, Nomura e Credit
Swisse.
Tutto lascerebbe
presagire che l’evoluzione delle dinamiche interne costituiscano un forte
rischio per i lavoratori Fincantieri e per coloro che lavorano nell’indotto. La
certezza della chiusura di vari stabilimenti, dettata dall’accordo del Dicembre
2011 firmato da parti istituzionali, azienda e sindacati confederali (Cisl,
Uil, Failms, Ugl) a fronte degli insormontabili costi dei piani di
ristrutturazione (vedesi il Protocollo di Intesa per Castellammare di Stabia), ha
portato Fincantieri a concentrare le proprie attività all’estero, stipulando nuove
partnership internazionali con:
·
gli Stati Uniti: 715 milioni di euro per
il progetto militare U.S. Navy LCS (Litoral Combat Schips) e 250 unità per la Guardia Costiera statunitense per un ammontare
che si aggira intorno ai 600 milioni di euro;
·
gli Emirati Arabi Uniti: realizzazione
per la Marina emiratina di tre unità, cioè una corvetta classe «Abu Dhabi» e
due pattugliatori;
·
l’Algeria e la Repubblica Dominicana, per quanto
riguarda commesse minori.
Ovviamente il processo
di internazionalizzazione avviato da tempo dalla Fincantieri è volto a garantire
il futuro non dei suoi lavoratori (il loro destino è quello degli esuberi e
della mobilità) ma del capitalismo italiano che sta fortemente spingendo in
questa direzione.
In conclusione, è
importante notare e soprattutto far notare a tutti i lavoratori in cassa
integrazione che Fincantieri ha chiuso il 2011 con un bilancio in attivo di 2,4
miliardi di euro, vantando una solida struttura patrimoniale e finanziaria ed
un utile di gestione di 227 milioni di euro. Inoltre i vertici aziendali non
escludono una futura quotazione in Borsa***, ovviamente finalizzata
all’accumulazione di capitale ed alla speculazione sui mercati finanziari, dove
vige sempre la parola d’ordine del capitalismo: “profitto”.
*
fonte: Il Secolo XIX
**
Il Sole 24 Ore 20 Aprile 2012
***
Il raffreddamento dell’operazione per la quotazione in Borsa di Fincantieri fu
dovuta sostanzialmente sia alla cattiva congiuntura economica e sia alla forte ostilità dei sindacati nel
biennio 2006/2008. Ma, in questi giorni, dell’a.d. Bono è ritornato alla carica sull’argomento
dichiarando: «bisogna ricreare le condizioni, e noi in un futuro - speriamo
anche prossimo - una volta realizzate alcune iniziative su cui stiamo
lavorando, pensiamo che la strada sia quella» (fonte: Il Secolo XIX.)
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